Ritorna a Tivoli Vibia Sabina la dama imperiale

La bella mostra su Vibia Sabina non è del tutto nuova fra le attività espositive di Villa Adriana dedicate all’imperatore e alla sua iconografia. Già qualche anno fa erano stati esposti bellissimi ritratti muliebri dei quali solo alcuni presenti in questa rassegna. Stranamente allora mancava il ritratto della Augusta, titolo del quale la moglie dell’imperatore fu insignita nel 128 d.C., quasi una trascuratezza volontaria per una polemica che divide persino gli storici dell’arte sulla ritrattistica legata alla figura dell’imperatore Adriano. Quasi che i ritratti maschili, e soprattutto quello del suo adorato Antinoo, fossero più straordinari di quelli femminili. Questa mostra invece («Vibia Sabina da Augusta a diva. Tivoli, Villa Adriana, Antiquarium del Canopo fino al 4 novembre) sembra voler affermare il principio che la statuaria adrianea non era esclusivamente imperniata sulla figura del celebre favorito.
Qui infatti si ripropongono statue persino inedite nelle esposizioni romane, fra cui la Sabina velata, recentemente restituita al patrimonio archeologico italiano dal Museum of Fine Arts di Boston, e lo splendido frammento con il ritratto della moglie di Adriano in marmo bigio proveniente dal Serapeo di Cartagine (Parigi, Museo del Louvre), che apre peraltro uno spiraglio di conoscenze sul gusto imperiale per l’esotico, la negritudine, la bellezza ambigua avevano certamente il sopravvento.
Non vogliamo entrare nel merito delle predilezioni estetiche dell’imperatore Adriano, il quale nonostante la sua smodata passione per la scultura aveva, a nostro giudizio, una innata propensione verso l’architettura concepita urbanisticamente come progetto di una città, quale, in realtà, era Villa Adriana con i suoi multiformi edifici e apparati per una vita piena di ricercatezze: piscine, terme, teatri, vasche e canopi erano l’ambiente di questa corte che possiamo immaginare attraverso i volti dell’entourage femminile: da Plotina, moglie di Traiano che di Adriano fu tutore, a Matidia, madre di Sabina e sorella maggiore di Traiano.
Certo ammirando queste statue ci si rende conto che gran parte di esse furono concepite nel gusto dominante a Villa Adriana, o per la stessa residenza tiburtina, anche se oggi sono disseminate in tutti i musei dell’Occidente attestando, di riflesso con le loro provenienze più disparate, quella diffusione dell’iconografia statuaria di Vibia Sabina nelle province dell’Impero. Un filo stilistico le unisce e anche se non si può provare, si ha la precisa sensazione che queste statue siano ascrivibili a una scuola scultorea che orbitava attorno alla villa imperiale di Tivoli. Ci sono persino novità stilistiche nel panneggio di Vibia Sabina, che dovettero essere abbastanza rivoluzionarie nella concezione rigorosa della statuaria femminile dell’epoca. E i volti hanno una ieraticità misteriosa, quasi egittizzante come se fossero discendenti di Iside, con le loro acconciature a forma di turbante o con tralci intrecciati fra i capelli a sostegno di mantiglie e veli rattenuti da diademi.


C’è un dato che accomuna le dame di Villa Adriana su cui la fantasia può sbrigliarsi osservando il loro atteggiamento quasi sempre severo. Erano felici come il fascino di Villa Adriana può suggerire? O gelosie, tormenti, incomprensioni, piccole crudeltà erano nascoste dietro i volti marmorei di queste bellissime creature?

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