Roma - Cambiano le pensioni e l’Italia - dopo avere covato per anni un sistema fin troppo generoso - si ritrova con la previdenza più severa del Vecchio continente. Una parte consistente della manovra varata ieri dal governo riguarda proprio le pensioni, con una stretta che vale nel complesso circa sette miliardi di euro nel biennio coperto dal decreto e ancora di più nel futuro. Il ministro del Welfare Elsa Fornero ha spiegato la sua riforma ha annunciato un contributo da parte delle pensioni più ricche. Ed è arrivata alle lacrime quando è arrivata a illustrare i sacrifici necessari a garantire il pareggio di bilancio. Le misure strutturali daranno risparmi consistenti a partire dal 2018, ma per fare cassa oggi è stato necessario il congelamento della indicizzazione delle pensioni all’inflazione.
In sostanza, nel 2012 e nel 2013 gli assegni non aumenteranno. Saranno risparmiati del tutto solo gli assegni pari al minimo (485 euro) e parzialmente (grazie alla tassa sui capitali scudati) quelli pari al doppio del minimo.
Il vero cambiamento riguarda l’accesso alla pensione. Oggi ci si ritira dal lavoro ricorrendo all’anzianità classica, che prevede sia un requisito di contributi, sia di età, la cui somma dà la quota. Poi c’è l’anzianità senza requisito anagrafico, che si raggiunge con 40 anni di contributi, infine la pensione di vecchiaia, dove il requisito dell’età è il principale.
Il governo Monti ha abolito le «quote», lasciando solo l’anzianità senza requisito anagrafico. Non si chiamerà più nemmeno anzianità, ma «pensione anticipata», definizione che fino ad oggi era solo giornalistica e che il governo ha ufficializzato per sottolinearne l’anomalia.
Cambia il requisito dei 40 anni; dal 2012, serviranno 42 anni di contributi versati per gli uomini e 41 per le donne, restano fuori i lavori usuranti, già individuati da una norma del governo Prodi, anche se c’è da scommettere che riprenderanno le pressioni per includere altre figure lavorative.
Abolite anche le finestre mobili - cioè il meccanismo che ritarda di un anno la decorrenza delle pensioni - definite da Fornero un «bizantinismo inutile».
In compenso, aumenta di un anno l’età della vecchiaia per gli uomini che, a partire dal 2012, passerà da 65 a 66 anni, 66 e sei mesi per gli autonomi, la cui finestra durava 18 mesi. Confermato lo scalone per la vecchiaia delle donne del privato, che a partire dal prossimo anno potranno ritirarsi a 62 anni. La progressione continuerà fino al 2018, quando uomini e donne si incontreranno a 66 anni. Cresce anche il requisito di vecchiaia per le donne del pubblico, seguendo quello degli uomini.
Confermato il contributivo «pro rata» per tutti. In sostanza, chi aveva ancora diritto a una pensione completamente retributiva, cioè aveva almeno 18 anni di contributi nel 1995, dal 2012 in poi gli verrà calcolata la pensione con il metodo contributivo. La fascia flessibile c’è, ma avrà come riferimento il requisito anagrafico della vecchiaia: tra i 62 e i 70 anni per le donne e tra i 66 e i 70 per gli uomini e anche per le donne dal 2018. Previste penalizzazioni per chi sceglie di uscire con il minimo. Confermato anche l’aumento delle aliquote contributive degli autonomi di 0,3 punti ogni anno per arrivare a due punti in più nel 2018.
Tempi strettissimi anche per la «Super Inps». Inpdap (l’Istituto per la previdenza pubblica) ed Enpals (l’istituto di previdenza dello spettacolo) saranno aboliti a partire dal 2012 e poi partirà l’integrazione con l’Inps.
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