Si torna a parlare di Roald Dahl in Italia. Complice uno degli eventi che arricchiscono il programma di appuntamenti legati al salone nautico di Genova. È stata infatti inaugurata al Museo Luzzati del capoluogo ligure una mostra dedicata a Quentin Blake. Ai più questo nome può non dire granché, ma per chi è pratico di letteratura per l'infanzia si tratta di una «garanzia». Blake è infatti il migliore illustratore di libri per l'infanzia. E non è un caso quindi che il suo destino professionale si sia indissolubilmente legato nel tempo a quello del celebre scrittore inglese Roald Dahl. È la prima volta che in Italia viene organizzata un'esposizione delle illustrazioni di Blake. Tra i suoi lavori più celebri si ricordano le tavole per «Willy Wonka e la fabbrica del cioccolato», che svettano in una fauna di improbabili animali fantastici, partoriti dalla mente di Dahl e dei suoi colleghi.
Mostra a parte, le librerie forniscono utili esempi della produzione narrativa di Roald Dahl: da «Agura trat» (edizioni Nord-Sud) a «Il libraio che imbrogliò l'Inghilterra» (Guanda), da «La fabbrica di cioccolato» (Salani) ai racconti riuniti in «Il meglio di Roald Dahl» (Guanda).
E proprio la lettura di quest'ultimo libro può essere indicativa per definire lo spirito dello scrittore e la portata della sua produzione. Venti racconti di quello che viene definito il «maestro dell'imprevedibile». Pagine esemplari per godere del suo stile caustico, cinico, irriverente. Dahl qui riesce a sfoggiare uno humour sofisticato e macabro (quindi molto british), lasciando il lettore senza parole di fronte alla beffa e al repentino ribaltamento di situazioni di apparente normalità quotidiana. In queste storie fantasiose incontriamo personaggi che catturano non solo l'attenzione dei più piccoli ma anche di lettori adulti e vaccinati per i quali la letteratura è ancora un percorso pieno di sorprese. Dove la vena grottesca offre una luce nuova agli aspetti più sinistri dell'animo umano. Non è esagerato quindi piazzare Dahl nell'empireo letterario britannico e sicuramente sul podio della narrativa dell'infanzia. I milioni di libri venduti dalla connazionale Rowling (creatrice della fortunata saga di Harry Potter) forse fanno impallidire le royalties di Dahl, ma il valore letterario del suo lavoro è destinato ad essere apprezzato ancora a lungo e sicuramente anche fra le generazioni future. Insomma una garanzia per le case editrici che puntano sulla forza dei cataloghi piuttosto che sulla brillantezza effimera dei bestseller.
E proprio a questo riguardo torna alla mente un'utile provocazione dello stesso Dohal. Dando alle stampe una fortunatissima antologia di racconti di fantasmi («Book of ghost stories», Penguin), lo scrittore britannico ricordò un'iniziativa intraprendente e sensibile messa in campo dalla casa editrice americana Crowell-Collier. L'editore infatti chiamò a raccolta sul finire degli anni Cinquanta il gotha della narrativa anglofona per un compito inedito: scrivere una bella storia per bambini. Purtroppo nemmeno uno dei fuoriclasse del romanzo (reclutati tutti con lauti anticipi, c'è da aggiungere) riuscì nell'impresa. I racconti - come ricorda Dahl nella prefazione di «Book of ghost stories» - erano praticamente illegibili. E di zero appeal per qualsiasi essere umano sotto i vent'anni. Il confronto scontro tra i due generi letterari è così tornato ad animare i salotti letterari. Si può considerare di serie B la produzione per l'infanzia? O - al contrario - i libri per bambini richiedono un talento inimmaginabile per qualsiasi vincitore del Booker Prize? Chi sostiene questa seconda ipotesi poi lamenta anche il fatto che i grandi scrittori dell'infanzia vengono regolarmente trascurati dalla stampa, dagli addetti ai lavori e dal pubblico adulto. Eppure l'importanza strategia di chi scrive storie per bambini è sotto gli occhi di tutti. Sedurre lettori in erba aiuta a creare un pubblico più preparato e ricettivo per le librerie. Un giusto approccio con la letteratura per l'infanzia aiuta inoltre ad accrescere il vocabolario dei ragazzi e ad emanciparli nella vita sociale. In più - come sottolinea lo stesso Dahl che sicuramente parla con cognizione di causa - per catturare l'attenzione del piccolo lettore serve una perizia linguistica fuori dal comune. Abilità della quale - ed è questa la provocatoria posizione dell'autore britannico - i grandi scrittori, alla luce anche dei magri risultati ottenuti alla Crowell Collier, sono assolutamente privi. Infatti non c'è niente di più letterario, ricorda l'autore de «La fabbrica di cioccolato», che un uso sapiente di parole immortali. Parole capaci di schiudere un mondo immaginifico davanti agli occhi del lettore di ogni tempo. Usare stilemi ed espedienti «alla moda» può andare bene per una al massimo due generazioni di lettori, ma poi tutto cade nel dimenticatoio perché a un bambino di sei o sette anni di oggi le parole usate venti o trent'anni fa possono risultare ostiche. Figuriamoci quelle scritte un secolo fa. Prendete ad esempio gli immortali racconti di Perrault. Chi non conosce quelle autentiche perle della favolistica? Eppure se ci affidiamo alla traduzione ottocentesca di Carlo Collodi (edizione Feltrinelli) rischiamo di fare un buco nell'acqua con i nostri figli.
La morale di tutto questo? Impossibile stabilire chi abbia torto o ragione. La Crowell Collier però perse nell'occasione un sacco di soldi per gli anticipi. L'attesissima antologia infatti non vide mai la luce.
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