"Roma diventò una Capitale con l'architetto Mussolini"

Nel suo nuovo saggio lo storico Ernesto Galli della Loggia racconta l'urbanistica del Ventennio. Fu innovativa, pervasiva e duratura

"Roma diventò una Capitale con l'architetto Mussolini"

«Roma è il massimo esempio visibile di quanto il fascismo abbia inciso sulla vicenda italiana, della vasta eredità che esso ha lasciato e che in moltissimi luoghi è ancora intorno a noi». Così scrive Ernesto Galli della Loggia, professore emerito di Storia contemporanea e firma notissima del mondo accademico italiano, nel suo nuovo saggio uscito per i tipi del Mulino: Una capitale per l'Italia. Per un racconto della Roma fascista (pagg. 236, euro 16).

Il saggio, infatti, che parte anche da uno spazio di memoria personale - «Ai miei occhi la Roma fascista di cui tratta questo libro è anche la Roma sparita della mia giovinezza» - racconta come sia stato il regime mussoliniano a dare alla città davvero il ruolo di capitale e molto dell'aspetto che la caratterizza ancora oggi. Ovviamente senza nulla di apologetico ma prendendo atto dell'enorme capacità progettuale che il fascismo mise in campo. A volte addirittura con maniacalità, come nei casi dei tombini con il fascio littorio.

Ne abbiamo parlato direttamente con l'autore per farci raccontare come Roma sia passata dai 700mila abitanti del 1921 al milione e quattrocentomila dell'inizio della Seconda guerra mondiale.

Professor Galli della Loggia noi si pensa spesso alla Roma dei cesari o a quella dei papi, meno alla Roma fascista ma lei spiega che è quella a dare la vera impronta alla città di oggi...

«La Roma papale è quella del centro storico, quella delle grandi chiese, dei grandi palazzi, o delle piazze. Ma il resto, la Roma dei quartieri moderni, quella subito fuori dalle mura aureliane è novecentesca e porta l'impronta architettonica del fascismo. Poi ci sono i così detti sventramenti come quello che ha portato alla creazione di Via dei Fori imperiali, l'Ara pacis, oppure lo stadio. Questa parte della città, borghese e piccolo borghese, impiegatizia porta tutta l'eco dell'urbanistica fascista».

Ed è una Roma ripensata dal fascismo, però attraverso l'utilizzo di un gran numero di architetti e di artisti di valore. Non in modo puramente arbitrario come spesso accade con le dittature. Giusto?

«Il nerbo della professione architettonica di quegli anni venne coinvolto in questi progetti. Soprattutto negli edifici pubblici, a partire dagli uffici postali, vediamo spessissimo impiegati architetti di alto livello, che avevano recepito gli spunti internazionali del razionalismo, basti pensare a Giuseppe Terragni».

Ci sono stati intellettuali, come la storica americana Ruth Ben-Ghiat, che hanno criticato il fatto che l'Italia abbia conservato molti di questi edifici...

«Si tratta di strutture di gradissimo pregio. E bisogna dire che da subito dopo la caduta del regime fascista le autorità italiane hanno scelto di procedere con la conservazione, proprio rendendosi conto del valore di queste strutture. Non si poteva distruggerle solo perché fatte dal fascismo. Sono molto poche le strutture costruite con il marchio fascista sopra e nessun valore artistico. Bisogna dire che la gran parte della cultura architettonica ed artistica italiana aderì convintamente al fascismo e che il fascismo aveva la capacità economica di investire in questo senso. E Roma fu l'epicentro del fenomeno».

Rispetto al nazismo il fascismo era molto più aperto alla modernità architettonica e all'arte...

«Era più aperto a tutte le tendenze artistiche del Novecento. Il nazismo fece terra bruciata di tutte le avanguardie artistiche tedesche a partire dalla Bauhaus. L'architettura nazista non era artisticamente di nessuna qualità, puntava solo al pomposo, al gigantismo. Quando la gerarchia nazista entrò in contatto con l'arte e l'architettura italiana - come nell'esposizione per il decennale della marcia su Roma o come quando all'Akademie der Künste di Berlino nel 1937 si tenne la Mostra sull'arte italiana dal 1800 al tempo presente - restarono esterrefatti. Erano le cose che loro mettevano al bando come arte degenerata. Siamo proprio in due ambiti diversi...».

Che idea architettonica di Roma aveva Mussolini? Scelse anche di posizionarsi a Palazzo Venezia, cambiando gli equilibri geografico politici della città...

«Mussolini con questo spostamento, nel 1929, voleva marcare il suo ruolo innovatore, abbandonando Palazzo Chigi. Si collocava in un luogo strategico e simbolico. A piazza Venezia convergono da un lato la via verso il Teatro di Marcello e verso Ostia, il mare sul quale avrebbe dovuto costruirsi la grandezza d'Italia. Dal lato opposto della piazza si va verso i Fori. Passato e presente. Poi quanto ai gusti architettonici... Inizialmente il Duce aderiva convintamente al modernismo e al razionalismo. Poi dopo i viaggi in Germania si fece influenzare dal monumentalismo tedesco. Lo vediamo ad esempio nell'Eur. Si va dalla città universitaria all'Eur, anche se poi il progettista è lo stesso, Piacentini».

Roma in quegli anni cresce tantissimo, la popolazione praticamente raddoppia. Ma il regime riesce a governare questa crescita convulsa mantenendo il consenso.

«Sostanzialmente sì, sia tra gli intellettuali sia tra la popolazione. Nei regimi è sempre difficile capire quando il consenso è reale ma in questo caso anche la memorialistica privata sembra andare in quella direzione. Non c'è nessuna traccia di malumore nei confronti delle operazioni urbanistiche e architettoniche».

L'impostazione adottata dal fascismo rispetto a questo tema potrebbe ricordare quella di Georges Eugène Haussmann nel rinnovamento di Parigi sotto Napoleone III?

«Assolutamente sì ma in maniera molto meno invasiva. Haussmann distrusse la Parigi medievale. La Roma medievale era già sparita a causa dei vari interventi dei pontefici. I così detti sventramenti mussoliniani furono molto meno invasivi».

Avevano già iniziato i governi liberali dopo che Roma divenne capitale nel 1871...

«Iniziato è un po' poco, spesso ci si dimentica che le iniziative sabaude di abbattimento e costruzione furono anche più estese di quelle del fascismo. Basti pensare ai quartieri attorno a via Cavour. Piace però di più parlare di sventramenti mussoliniani... Ma Mussolini sventratore è un mito. Bisogna tener presente che comunque la sensibilità edilizia all'epoca era molto diversa. Le singolarità negative del fascismo non sono architettoniche».

La Roma attuale è una città, come dire, per molti versi...

«È invivibile, una città completamente diversa perché c'è stata la motorizzazione di massa ed un sacco di altre cose».

Forse la Repubblica è stata più timida riguardo all'edilizia rispetto al Regime. Sia detto con chiaro in mente che la democrazia è sempre meglio delle dittature...

«Il peso del tempo ha travolto anche le innovazioni che aveva fatto il Regime. Basta pensare anche all'Università di Roma, c'è stata una crescita esponenziale che non è stata governata, senza contare il peso del turismo di massa... Roma ha avuto degli amministratori di qualità culturale scarsa e poco progettuali a partire dai trasporti. Quanto ai Governi repubblicani, non hanno avuto un progetto a dimensione nazionale per il paesaggio e le città. Quello che è interessante del fascismo è che ha costruito una capitale.

È uno dei fili rossi di quello che ho voluto scrivere. Prima del fascismo Roma era la sede del governo, col fascismo è diventata la vera capitale, anche dal punto di vista sociale. Questo anche grazie allo sviluppo del cinema e della radio».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica