La Roma si rifà il trucco e il Parma sta a guardare

Partita tutta in discesa, dopo i tapponi di montagna con Inter, Juve e Fiorentina

La Roma si rifà il trucco e il Parma sta a guardare
Parma - Finite le fatiche di montagna, la Roma trova a Parma la tappa di pianura che cercava. Quella utile per rigenerare testa e muscoli stracciati da quattro impegni consecutivi (Juventus, Fiorentina, Inter e Manchester) che avrebbero steso anche un toro e che, comunque, hanno lasciato il segno nella truppa giallorosa. Qui a Parma raccoglie tre punti e tanto ossigeno, rimette il muso in seconda fila e tiene i nerazzurri alla matematica distanza: quello dello scontro diretto perso sul finire di settembre.

Tornare a fidarsi della sua squadra: questo cercava Spalletti e questo ha trovato dentro un pomeriggio caldo solo nell’aria. Perché il Parma, già messo in campo da Di Carlo per ronzare intorno alla Roma e non certo per caricarla, finisce anche per suicidarsi. Bastano due minuti per aprire i cassetti dell’archivio e infilarci la partita.

Zenoni si addormenta su un pallone sgonfio che sta uscendo e si dimentica di un paio di fondamentali: non fa scudo col corpo e ignora l’arrivo di Vucinic. Il serbo fiuta il colpo, rimette al centro per Totti che chiude di destro e si potrebbe andare già tutti a casa. Ma la Roma ha bisogno di una domenica speciale per leccarsi le ferite e così più che cercare il raddoppio prova a scrostare quei meccanismi che nell’ultimo mese avevano perso efficienza e funzionalità. Passaggi corti e incroci obbligati passano dalla lavagna al campo come se i giallorossi fossero a Trigoria e Spalletti avesse ordinato esercizi per il possesso palla. Uno, due, tre, quattro tocchi: corsie preferenziale per arrivare al casello custodito da Bucci. Perrotta (poi, tradito da una zolla, costretto a lasciare per un guaio al ginocchio) paga il pedaggio una volta; non così invece Mancini che, scovato da Totti, non fa una piega e incarta il risultato.

Il Parma non può che assistere, prova a far salire il ritmo ma il pressing si trasforma troppe volte in fallo. In uno di questi tentativi Corradi cade nella trappola e scalcia Totti da dietro: ammonizione che annuncia i titoli di coda (per Corradi e per il Parma) che scorrono quando, dieci minuti dopo, il centravanti scartato da Eriksson allunga il braccio e interrompe un’azione giallorossa. Banti l’aveva già graziato prima, altro fallo di mano in attacco, e questa volta non può fare a meno di ammonirlo. È il 26’: e chi ancora non s’era convinto, capisce che la musica è davvero finita. Già leggero di suo, con un uomo in meno il Parma crea alla Roma gli stessi pericoli di un gommone a una corazzata.

Che poi i giallorossi si specchino fin troppo e facciano a gara a chi fa l’ultimo passaggio, finendo per mandare all’aria una smazzata di azioni, è un problema endemico tanto che Spalletti, invece di starsene seduto a braccia conserte, schizza fuori dalla buca per riportare sulla terra i suoi.

La Roma è fatta così: quasi troppo bella per essere vera. Il suo gioco è il più bello da vedere, ma è anche la sua condanna: non hanno, i giallorossi, altro modo per vincere che questo. Nessuno occupa il campo come loro, ma capita che qualcuno porti a casa più di loro. Il Parma, risparmiato da una ripresa giocata in folle e quasi per inerzia marchiata dal secondo sigillo personale di Totti, è stato uno sparring partner perfetto, ha incassato il giusto e nemmeno sgualcito i lineamenti giallorossi. Ma a casa di Totti e soci ancora girano i video delle sfide con Juventus, Fiorentina e Inter: tre incroci che la Roma, per motivi diversi, ha patito, se non subito. «Abbiamo dimostrato al campionato che non ci siamo smarriti»: Spalletti benedice e avverte la concorrenza dopo aver quantificato il raccolto di Parma. Ma quando lo dice, sa che i veri destinatari del messaggio stanno facendo la doccia nello spogliatoio della Roma.
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