Costruire una memoria condivisa, accantonando ciò che divide. Consegnare al passato l'odio ideologico che ha armato le mani degli assassini. Dare dignità alle vittime, senza alibi né giustificazioni. Orizzonti possibili che, in giornate come questa, a 75 anni dalla fine della guerra, appaiono ancora inafferrabili. Certo, la verità delle foibe, ormai, non si può più negare. Però si può sempre mitigare, ridurre, giustificare.
È questa, per Antonio Ballarin, esule di seconda generazione e presidente della FederEsuli, la "morale" del convegno organizzato oggi dall'Anpi in Senato. "Un convegno - sostiene Ballarin - sbagliato già dalle premesse". "Perché - domanda - non c'era nessuno di noi seduto a quel tavolo?". Ballarin, classe 1959, sarebbe dovuto nascere sull'Isola di Lussino (oggi Croazia). Invece, i comunisti jugoslavi lo hanno strappato a quella terra e quel mare, e si è ritrovato a nascere da profugo, nell'ex villaggio operaio dell'Eur, a Roma. La sua unica colpa? Essere figlio di genitori italiani. Ecco perché, appena ha letto il titolo dell'evento ("Il fascismo di confine e il dramma delle foibe"), si è subito rabbuiato. "Un titolo - dice - dal sapore giustificazionista". E così ha deciso di presentarsi a palazzo Madama, e si è seduto in platea.
Sperava di sfatare un pregiudizio e, invece, non è andata così. Immaginate cosa deve aver provato quando ha sentito raccontare la sua storia, il suo dramma, da chi non lo ha vissuto. Da chi sembra guardare il passato ancora con la lente dell'ideologia. E poi quanto amaro deve essergli sceso nella gola quando uno degli oratori ha esordito citando "due miti da sfatare". Il primo: "Non tutti gli italiani sono brava gente". "Stiamo parlando di migliaia di italiani, infoibati, annegati, fucilati, senza nemmeno uno straccio di processo. Mi chiedo - ragiona - se sia giusto far passare il messaggio che forse qualcuno di loro quella fine l'ha meritata". E il secondo: "Quella avvenuta in Istria e Dalmazia non fu una pulizia etnica". "Il 90 per cento delle persone venute via da lì, compresa la mia famiglia, erano italiane", replica. "E che quella di Tito fosse un'operazione per cancellare l'identità italiana da quei territori - aggiunge - lo ha anche confermato nel 1991 il suo braccio destro Milovan Gilas, in un'intervista a Panorama".
Poi, ci sono i numeri che non tornano: 4-5mila vittime per l'Anpi, 10-12mila per le associazioni di esuli. E neppure una menzione al fatto che le persecuzioni non finirono assieme alla guerra, ma proseguirono anche in tempo di "pace", fino agli anni Cinquanta. Insomma, sono tanti, troppi ancora gli aspetti su cui non si riesce a trovare una convergenza.
"Lo vado dicendo da anni - conclude Ballarin - che dobbiamo metterci a tavolino e confrontarci, solo così potremo consegnare alle nuove generazioni un Paese unito". "Ma per farlo - avverte - occorre mettere da parte i pregiudizi della politica".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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