Italiani sotto sfratto: "Raggi pensi anche a noi, non solo ai rom"

Nel quartiere popolare di Pietralata c'è aria di sgomberi. Le sette famiglie italiane sfrattate dai magazzini Ater di via Silvano non si arrendono: "Siamo pronti a incatenarci"

Italiani sotto sfratto: "Raggi pensi anche a noi, non solo ai rom"

“Io da qui non me ne vado, meglio morire che vivere in strada”. Bruno ha 78 anni ed è uno degli occupanti degli scantinati di via Silvano numero 10. Sette magazzini di proprietà dell’Ater che si trovano al pianterreno di un complesso di case popolari nel quartiere romano di Pietralata. Pertinenze di appartamenti che, si vocifera nel quartiere, ora l’azienda che gestisce l’edilizia residenziale vorrebbe vendere.

Da quando i vigili la scorsa settimana hanno apposto i sigilli al portoncino verde del monolocale la sua vita è cambiata. “Sono malato di cancro e nei mesi scorsi ho scoperto di avere anche un problema al cuore”, ci racconta. “Mi sarei dovuto operare questo mese – continua – ma sto rimandando il ricovero perché ho il terrore di tornare e non trovare più nulla”. In questi quaranta metri quadri Bruno vive con sua moglie da più di dieci anni. Uno spazio angusto in cui è racchiusa tutta la sua vita: i ritratti di famiglia in bianco e nero, le medaglie al valore del fratello morto durante la seconda guerra mondiale e le foto della nipotina.

“Vado avanti con 600 euro al mese, cerco di risparmiare su tutto, il pane – ci spiega – lo scaldo un po’ per poterlo mangiare anche quando diventa raffermo”. Ma un affitto, no. Proprio non se lo può permettere. Come lui anche le altre famiglie in emergenza abitativa che si sono stabilite in questi anni nei box dell’Ater. Claudio, papà separato, è invalido civile. Elisabetta, invece, vive nella stanza che ha occupato nel 2001 con i suoi cinque figli. “Qui dentro ci abitano anziani, bambini, una donna incinta, ma come possono sgomberarci?”, si domanda Giulio, il suo compagno. Dall’Ater gli hanno risposto che solo al momento dello sgombero potranno mettersi in lista per una casa popolare. Nel frattempo li aspetta la casa famiglia o la strada.

“Per vedersi assegnare un alloggio passano anni – spiega Giulio, rassegnato – e poi prima di noi vengono sempre gli stranieri”. “La scorsa settimana hanno assegnato tre case popolari ai nomadi al Tiburtino e altre due a Casal Bruciato, per loro il posto lo trovano”, attacca Valery, una trentenne residente nel quartiere. In questa guerra tra poveri che ormai si combatte metro per metro in ogni periferia romana, gli inquilini di Pietralata si sono schierati con gli occupanti. “Li conosciamo da una vita, e poi sono italiani”, è il coro che ripetono da queste parti. Decine di manifesti e lenzuoli campeggiano su muri e finestre: “Noi stiamo con gli sfrattati”, c’è scritto. “Le istituzioni dovrebbero fare di più”, conclude la ragazza.

“Le case popolari sono per i poveri”, ricorda un altro signore. E invece, come dimostrano i dati confermati da recenti inchieste giornalistiche, a volte a pagare il canone agevolato è anche chi può permettersi seconde case e macchine di lusso. Sono i 5.562 furbetti individuati dall’Ater nella Capitale a fronte di 12mila persone che attendono di essere collocate in un alloggio popolare. La macchina degli sgomberi del Comune, però, per loro non si è ancora attivata. Almeno non in modo così solerte come con le sette famiglie di Pietralata. Gli scantinati di via Silvano, a quanto pare, servono a fare cassa.

“Chiediamo solo che ci mettano nelle condizioni di pagare un’indennità e rimanere nei magazzini”, è l’appello di

Elisabetta. “Andare in una casa famiglia – si sfoga – significherebbe separarmi dai miei due figli maggiori, sarebbe ingiusto”. “Siamo pronti ad incatenarci”, avvertono gli sfrattati. La loro è una lotta per la sopravvivenza.

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