Mascherine assenti o non a norma: "Medici e infermieri a rischio"

Le mascherine inviate dalla Protezione Civile in alcuni ospedali della Capitale non sono a norma. I sindacati denunciano: "Assomigliano ai panni per spolverare". Medici preoccupati: "Cosa succederà quando a Roma ci sarà il picco dei contagi?"

Mascherine assenti o non a norma: "Medici e infermieri a rischio"

"Fino a qualche giorno fa giravamo in reparto senza mascherine, poi ce ne hanno date tre, tre kit completi, vale a dire una mascherina, un camice idrorepellente, un paio di occhiali, però qui in reparto siamo 26, tra medici strutturati e specializzandi". Lo sfogo è di un medico del Policlinico Umberto I, intervistato dall’Agi. Non lavora nel reparto di malattie infettive. Ma è comunque preoccupato per la sua salute e per quella dei suoi colleghi.

"Che ne sappiamo se i pazienti che arrivano qui non stanno incubando il Covid-19?", si domanda. E in effetti nello stesso policlinico universitario almeno sette tra medici e specializzandi, quasi tutti del reparto di oncologia, sono risultati positivi ai test per il coronavirus. "Quello che si sta raccontando fuori è una rappresentazione molto diversa rispetto alla realtà, voglio vedere cosa succederà la prossima settimana, quando è atteso il picco di contagi a Roma", si lamenta il camice bianco.

"E gli occhiali? I camici idrorepellenti? Questo virus si trasmette anche per via congiuntiva – ricorda - trattiamo polmoniti bilaterali tutti i giorni, difficile mantenere le distanze di sicurezza". La verità è che la situazione è la stessa in molti ospedali della Capitale, oltre che dell’intera penisola. Di mascherine ce ne sono poche. E quelle che vengono fornite, spesso, non sono neppure professionali. A volte del tutto inidonee, come racconta Stefano Barone, segretario provinciale del Nursind.

"Alcune di quelle inviate dalla protezione civile a medici e infermieri nelle Asl sono prive del marchio CE", spiega il sindacalista. "Più che a delle mascherine assomigliano ad un panno per togliere la polvere a domicilio, con due buchi ai lati nei quali infilare le orecchie", racconta. Le immagini dei dispositivi consegnati all'Ifo, al San Camillo e a diverse altre Asl della Capitale non lo smentiscono.

"Alla grave e persistente carenza di dispositivi di protezione - mette in guardia - è legato un notevole aumento del rischio clinico per gli operatori che si trovano a lottare quotidianamente anche con doppi turni". "In Lombardia le stesse maschere chirurgiche sono state ritirate perché non omologate e quindi giudicate non idonee a proteggere gli operatori sanitari che combattono sul fronte del coronavirus", denuncia in una nota la stessa organizzazione sindacale che parla di "beffa a danno del personale medico e infermieristico da parte della Regione".

"Non si affrontano le emergenze mettendo in pericolo gli operatori", tuona Barone. A mancare non sono soltanto le mascherine. In molti ospedali non ci sono abbastanza gel igienizzanti, maschere chirurgiche e camici adeguati ad arginare il rischio contagio. "Ci preoccupano seriamente le condizioni in cui versa la sanità laziale che speriamo sia in grado di affrontare l’ondata di piena prevista nei prossimi giorni", scrivono il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei Deputati, Francesco Lollobrigida e il consigliere regionale dello stesso partito Giancarlo Righini, che chiedono al governo e ai vertici della Regione di intervenire.

Anche perché, osservano gli esponenti del partito di Giorgia Meloni "il contagio di medici non sostituiti" ha determinato "chiusure di reparti fondamentali come ad esempio quello di oncologia al policlinico Umberto I". Ieri ilGiornale.it aveva denunciato le condizioni al limite in cui sono costretti a riposarsi gli specializzandi dell’ospedale Sant’Andrea, con materassi sistemati sul pavimento e cuscini presi da vecchie poltrone delle sale d’attesa.

Al Grassi di Ostia, invece, come in altri ospedali considerati periferici, ci sarebbe una "insufficienza cronica di postazioni di terapia intensiva". Roma, insomma, non sembra preparata ad affrontare un’emergenza delle proporzioni di quella che ha investito la Lombardia.

"Se circa 60 medici sono risultati positivi, è segno che qualcosa non ha funzionato nel sistema di protezione", denuncia il medico intervistato dall’Agi. "Mi chiedo come faremo – aggiunge - se altri dottori si ammaleranno o andranno in isolamento precauzionale".

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