Nella mattinata di oggi, martedì 10 maggio, la Dia (Direzione investigativa antimafia) ha smantellato con un maxi blitz una locale di 'ndrangheta radicata nella Capitale che voleva avere il controllo di varie attività economiche a Roma. L’operazione ‘Propaggine’ ha portato a 43 misure cautelari tra Roma, Lazio e Calabria. Dietro le sbarre sono finite 38 persone e 5 sono invece agli arresti domiciliari. Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo erano a capo della 'ndrina di Roma. Nell’estate del 2015 Carzo aveva ricevuto dalla casa madre in Calabria della 'ndrangheta l'autorizzazione per costituire una locale nella Capitale, capeggiata dallo stesso Carzo e da Alvaro. Gli obiettivi di questa organizzazione erano gli investimenti e il riciclaggio, soprattutto nel settore commerciale e in quello della ristorazione.
Le accuse a vario titolo
Tra le persone fermate ci sono anche un dipendente bancario e un commercialista. Le forze dell’ordine, questure e comandi provinciali dei carabinieri e della guardia di finanza di Roma e Reggio Calabria, hanno eseguito anche un sequestro preventivo di urgenza di una serie di società e imprese individuali che operavano a Roma ed erano intestate a dei prestanome. Ai 43 soggetti arrestati contestate accuse, a vario titolo, tra cui l'associazione mafiosa, la cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, l’estorsione aggravata e la detenzione illegale di arma da fuoco, la fittizia intestazione di beni, la truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la 'ndrangheta, il riciclaggio aggravato, il favoreggiamento aggravato e il concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo quanto emerso dall’inchiesta, grazie alle indagini è stato appurato come "i sodali della cosca Alvaro abbiano dato vita, nel territorio della Capitale, ad un'articolazione (denominata 'locale di Roma'), che rappresenta un 'distaccamento' autonomo del sodalizio radicato a Sinopoli e Cosoleto, in provincia di Reggio Calabria. È emersa, sempre allo stato degli atti, un'immagine nitida dell'esistenza di una propaggine romana, oggetto della corrispondente attività di indagine della Dia di Roma, connotata da ampia autonomia nella gestione delle attività illecite, ed al contempo della permanenza dello stretto legame con la 'casa madre sinopolese', interpellata per la soluzione di situazioni di frizione tra i sodali romani o per l'adozione di decisioni concernenti l'assetto della gerarchia criminosa della capitale. La stessa costituzione del 'distaccamento' romano è stata in origine autorizzata dai massimi vertici della 'ndrangheta, operanti in Calabria". Fino all’estate del 2015, come emerso dalle indagini, non vi era quindi una ‘locale’ attiva nella Città Eterna, in quanto questa sarebbe nata solo dopo che Carzo ha ricevuto l’autorizzazione dalla casa madre in Calabria. L’organizzazione operava su tutto il territorio di Roma con una gestione degli investimenti nel settore della ristorazione e nell'attività di riciclaggio di considerevoli somme di denaro.
Arrestato anche il sindaco del Comune reggino di Cosoleto
Nell'ambito dell'inchiesta ‘Propaggine' è stato arrestato, e si trova ora ai domiciliari, anche l’attuale sindaco del Comune reggino di Cosoleto, Antonino Gioffré. Il suo nome compare nell'elenco dei 34 soggetti raggiunti da una ordinanza di custodia, 29 persone sono in carcere e 5 agli arresti domiciliari, emessa dal gip su richiesta della Dda contro la cosca Alvaro-Penna di Sinopoli. Gioffré sarebbe accusato di scambio elettorale politico-mafioso. Ovvero, in cambio di voti avrebbe favorito l'assunzione di una persona, anche questa risulta essere indagata. Sotto indagine l’esito della competizione elettorale del Comune di Cosoleto del 2018. Antonio Carzo è stato infatti ritenuto gravemente indiziato del delitto di cui all'art. 416 ter c.p. in favore del primo cittadino di Cosoleto. Gravemente indiziati di ricoprire i ruoli verticistici delle organizzazioni calabresi sono Carmine Alvaro detto 'u cuvertuni', capo locale di Sinopoli, nonché, quali capi locale di Cosoleto, Francesco Alvaro detto 'ciccio testazza', Antonio Alvaro detto 'u massaru', Nicola Alvaro detto 'u beccausu', Domenico Carzo detto 'scarpacotta'.
Secondo quanto emerso dall’inchiesta nella sua articolazione calabrese, l'associazione sinopolese è risultata pienamente operativa nel controllo del territorio, e le indagini hanno mostrato un forte attivismo nella risoluzione di ‘frizioni’ connesse all'avvicendamento delle nuove leve nella gestione del 'locale' di Cosoleto, nonché quelle
"relative alla cura dei rapporti con i vertici della propaggine romana". In una intercettazione alcuni indagati affermano: “Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto". Da qui il nome dell’inchiesta.Segui già la pagina di Roma de ilGiornale.it?
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.