"Il romanista" Fotia, ultrà anche in politica

Oggi dirige - a spese dello Stato - il foglio dei tifosi della Roma e intanto sobilla la curva. Gli esordi al "Manifesto" e l’intervista a Craxi in Tunisia

"Il romanista" Fotia,  
ultrà anche in politica

Roma - «Semo romani, ma romanisti de più», cantava Lando Fiorini anni fa in un inno strombettante. Ma di Carmine Fotia, direttore del Romanista, il «quotidiano dei tifosi più tifosi del mondo», questo si può dire a metà. Per la parte anagrafica va detto che è nato 56 anni fa a Reggio Calabria. E non vi è chi tra i suoi avversari rinunci a farlo notare quando egli si erge a patrono della romanità.

Va detto: non è facile dirigere un quotidiano «di curva» a Roma, dove la passione calcistica si nutre di polemiche più che di presenze nell’Olimpico spesso mezzo vuoto. Ogni parola può trasformarti nel nemico pubblico numero uno, come sa bene l’autore di questo pezzo che, per aver qualche giorno fa rimarcato che il Romanista benefici legalmente di un contributo statale di quasi un milione, come quotidiano cooperativo, è finito - da romano e romanista «de più» - nel tritacarne degli insulti via carta, radio e web.

Non è facile dirigere un quotidiano giallorosso, dicevamo, ma qualcuno deve pur farlo. Ed ecco Fotia. Strana parabola, la sua: giornalista «de sinistra» (fu anche consigliere comunale del Pds in Campidoglio) dapprima firma autorevole del Manifesto, poi direttore di Italia Radio, l’emittente da lui sdoganata dal Pds, poi per 14 anni vicedirettore del tg di Tmc (videofirmò l’ultima intervista a Bettino Craxi a Hammamet) e di La7 e infine direttore-tifoso. Ruolo che svolge assai bene, a giudicare dalle vendite e dal fatto che il Romanista - anche grazie a una redazione giovane e appassionata e ai soldi pubblici - è nel suo genere un bel prodotto; magari con qualche caduta di stile, come quando nel corso delle Olimpiadi 2008 invitò i lettori a tifare per la nazionale di calcio solo dopo che Rocchi, laziale, si infortunò e tornò a casa. Ma all’epoca il direttore non era Fotia, giornalista impegnato che un tempo vinceva premi scrivendo di lotta alla mafia ora orchestra campagne contro i soprusi arbitrali subiti dalla Roma («Ce l’hanno rubata», titolò il 26 aprile 2010 dopo la sconfitta con la Sampdoria che consegnò lo scudetto all’Inter) e scrive fondi sull’arte di «gufare», come accadde per Inter-Bayern, finale di Champions 2010. «Siamo assetati di vendetta - scrisse allora - e vogliamo preparare per bene quella che consumeremo nel prossimo scontro con l’Inter in Supercoppa». Visto come finirono entrambe le partite, Fotia faccia il tagliando ai suoi amuleti.

Che volete: l’uomo è viscerale. Di lui si ricorda una rissa con l’ala destra della Fnsi a un’assemblea sindacale, quando lui e qualcun altro presero un po’ troppo alla lettera il nome della località in cui si era: Pugnochiuso. Passano gli anni e l’ardore non si spegne: oggi Fotia ogni tanto litiga in trasmissioni tv da paladino in servizio permanente effettivo contro i poteri calcistici forti del Nord.

L’altra sua anima, quella letteraria, si esibisce in romanzi fantapolitici. In Italianera e La rovina romana indugia assai sui movimenti di estrema destra. E a qualcuno, malizioso, è sorto il dubbio che nel suo cuore mezzo giallo e mezzo rosso, la seconda parte sia un po’ stinta.

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