Ronaldinho si mette le scarpe nuove per incantare il Milan

Per il brasiliano nuovo look ai piedi. Ancelotti: «Non mi servono colpi di tacco ma sostanza». Sheva risponde a Mourinho: «Mai stato principe»

nostro inviato a Milanello

È la stagione delle promesse da mantenere, nel calcio come in politica. Adesso tocca al Milan, a Ronaldinho e Shevchenko, ad Ancelotti, uno per tutti, sottoposto alle maggiori pressioni. «Si tratta di una campagna acquisti imponente» chiosa Adriano Galliani lesto nel segnalare la generosa opera dell’azionista e nel “bacchettare” «quei tifosi critici perché non facevamo acquisti in fretta». Ai suoi due lati Shevchenko e Senderos, ammirati come due corazzieri a palazzo. «Uno è il miglior bomber degli ultimi 50 anni, l’altro ci ricorda Stam» i giudizi per accompagnare al passaggio della presentazione ufficiale gli ultimi due esponenti della magnifica decina. «Non è un caso che tanti rinforzi siano arrivati nell’anno dell’Uefa: quando si vince, ci si rilassa» il commento di Galliani pronto a dar conto della presenza di Berlusconi oggi a San Siro («senza l’impegno in Libia sarebbe arrivato alla vigilia per cenare con la squadra») e a ripetere la missione esclusiva per il Milan, «Vincere lo scudetto e se possibile coppa Uefa e coppa Italia».
È la stagione delle promesse da mantenere anche per Andrij Shevchenko (maglia 76 per lui) deciso solo a smentire, con decisione, la definizione di Mourinho. «Qui al Milan mi sono sentito come un principe ma non sono stato mai trattato da principe. Ho avuto i miei momenti difficili, superati col lavoro e col sacrificio. E quanto al primo anno nel Chelsea 14 gol e 11 assist non sono poi così male» la sua stoccata al portoghese di Appiano, lasciato alle spalle. Ha voglia di dimenticare Londra e di giocare Sheva II la vendetta, di rappacificarsi col pubblico (oltre 60mila in prevendita) in amore e con i suoi ex sodali che lo guardano con un pizzico di sospetto. «Non vedo l’ora di giocare, mi manca solo quello» riferisce e pesano i test di Milanlab i quali documentano della sua integrità fisica. «Tutto dipende da me» ammette dopo aver escluso ogni altra destinazione («il massimo è il Milan») alternativa a Milanello. Vuole fermare il tempo: è la sfida per l’ultimo tratto di carriera.
Ripetiamolo: è la stagione delle promesse. Lo sa anche Ancelotti già sulla graticola, alla prima stazione della lunga corsa calcistica. «Avverto le pressioni, la gente mi ferma per strada e mi chiede chi farai giocare?, ma sono sicuro che troverò la disponibilità del gruppo e la tutela della società» la confessione pubblica dell’allenatore finito sulla graticola. «Una cosa è sicura: so che molti allenatori vorrebbero essere al mio posto» la sua riflessione a voce alta, prima di declinare la vera natura del Milan di quest’anno. «Non dobbiamo essere la somma di più talenti ma l’unione di più talenti» la frase a effetto. Valorizzata subito dopo dalle attese sull’uomo del giorno, Ronaldinho, nuove scarpe dello sponsor ai piedi. «Non mi aspetto colpi di tacco, mi aspetta che aiuti la squadra e sia aiutato dalla squadra» la definizione del nuovo Dinho. L’unica stoccata, polemica, arriva per Dunga, il ct del Brasile a Pechino, accusato d’aver sparlato in pubblico di Pato, il gioiellino di casa. «Ha avuto una gestione non corretta del giocatore» la frase scolpita da Ancelotti, mai velenoso coi colleghi.
Anzi pronto a subire l’effetto Mourinho e a svelare i 9/11 dello schieramento contro il Bologna. Risparmiato Gattuso (pronto per la nazionale), arruolato Flamini, tra i migliori durante la preparazione.

Top secret solo i ruoli di attaccanti: partenza riservata a Inzaghi con Ronaldinho, poi posto per Sheva. In porta fiducia concessa ad Abbiati, con Dida subito dietro e Kalac terzo in tribuna. «È un portiere affidabile» il giudizio iniziale. Si tratta di uno dei pochi punti interrogativi dell’armata rossonera.

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