Ruggero sotto l’influsso di Morandi

È la pittura di Morandi l'orizzonte cui guarda. Dipinge senza sosta e poi con pazienza prepara il suo prossimo pacco. Grande, subito riconoscibile, cela all'interno non uno ma più lavori, spesso appena terminati. Destinazione privilegiata è la redazione di Genova de «il Giornale» e quindi tutti i suoi lettori. Dal 2004 a oggi è questo il mondo con cui il nostro ha deciso di voler comunicare: l'anonimato iniziale si è presto liberato in due iniziali, A.R., e infine si è fatta strada la rivelazione della sua identità. È del «nostro» Ruggero che stiamo ovviamente parlando: con il tempo abbiamo imparato a conoscerlo e a seguire, passo dopo passo, gli sviluppi della sua ricerca. Così scopriamo che ultimamente si sta dedicando con crescente passione alla natura morta: certo, non ha messo da parte i suoi tanti interessi, dalla scienza - con ipotesi di teoremi e nuove unità di misura - alla poesia, dagli scacchi all'illustrazione, ma è comunque nella pittura che sente «la via più diretta per dire le cose del mondo». Il suo impegno è cresciuto in maniera costante, dai primi disegni ordinati in serie riflettendo sui grandi maestri del Novecento fino all'approdo su tavola e quindi su tela. La natura morta, si diceva, è oggi al centro della sua pratica quotidiana: si respirano le atmosfere di Morandi nei dipinti di Ruggero, ma si colgono anche le influenze degli amati Kandinskij e Mirò nella visione dello spazio. «Nelle mie nature morte si celano incursioni astratto-concettuali - spiega -plasmate all'interno di un segno via via più sofisticato». Proprio il segno è da sempre il punto focale della pittura di Ruggero: un segno intimamente connesso alla materia e frutto di una prassi operativa in costante ridefinizione. I pennelli? «Quasi non li uso. Applico il colore direttamente, con le dita. Nel tempo ho trovato il “mio”: proviene dalla Cina e non sempre è reperibile ma non potrei mai sostituirlo».
Si tratta di un colore a olio che non di rado mette alla «prova» con smalti acrilici. Teatro dell'evento creativo è la tela, rigorosamente in juta. «Una volta steso il colore, lo lavoro con le dita aiutandomi anche con la carta di giornale»: nascono così le sue nature morte, narrazioni di un lirismo quotidiano fatto di scorci che gettano luce, ma anche ombra, su oggetti significanti di quell'uomo che Ruggero va raccontando attraverso la sua presenza infusa a spazi e oggetti appartati, forse troppo dimenticati. L'attenzione all'oggetto e l'attitudine seriale sono parte integrante del suo procedere verso visioni più intime ed equilibri cromatici ricercati. Ruggero cerca un ordine nel mondo, in primis nel suo, e intanto confessa «spero di avere presto un'occasione per esporre le mie opere.

Mi sento pronto al confronto con il pubblico: in questi anni ho dipinto oltre 400 tra tele e tavole. Mi piacerebbe esporre in una galleria qui, nella mia città». E noi, primi ad averlo «scoperto», speriamo con lui, sapendo che saremo i primi a essere invitati.

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