«L'infamia delle leggi razziali». Non c'è l'ombra di un'esitazione, nelle parole con cui ieri Ignazio La Russa ha celebrato in Aula il Giorno della memoria, che oggi commemora la Shoah.
E, dopo il passaggio di consegne al Senato con Liliana Segre, è stato un altro giorno storico: il primo presidente erede diretto della storia del Movimento sociale italiano ha invitato e ricevuto con premura e calore una delegazione composta dalla presidente delle Comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni e dai presidenti delle Comunità di Roma, Ruth Dureghello, e di Milano, Walker Meghnagi.
La Russa ha proposto di istituire una giornata, il 17 novembre, in ricordo delle leggi razziali. E al Senato ha ospitato l'incontro degli studenti con Sami Modiano, sopravvissuto ad Auschwitz-Birkenau. Eloquente l'incontro con Meghnagi, che ha ritrovato come seconda carica dello Stato quello che non è solo il leader storico della destra milanese, ma anche suo amico personale, come è risaputo nella comunità. Lo ha abbracciato, Meghnagi, ma non è storia di amicizie personali, questa. Semmai è l'esito del percorso di un'intera comunità politica, lo stesso che un mese fa ha portato la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a partecipare alla cerimonia dell'accensione delle luci dell'Hannukah al Museo ebraico di Roma, commuovendosi fino alle lacrime. Non c'è (più) un'oncia di ambiguità verso la pagina più nera della storia italiana: l'abisso della discriminazione, persecuzione e deportazione degli ebrei italiani, un orrore cui il fascismo prestò la sua zelante collaborazione.
Storia complessa, e dolorosa. La destra italiana nasce da Salò, e i fondatori del Msi, nel primo Dopoguerra, non si preoccuparono affatto di «rinnegare» questa pagina, ammettendo complicità e responsabilità, almeno morali. Quello di Giorgio Almirante, ovviamente, è il caso più conosciuto. Il padre, così amato, del Msi, era stato redattore di La difesa della razza e capo di gabinetto del ministero della Cultura nella Rsi. Eppure, è proprio in quegli anni che la destra italiana inizia il suo cammino. Ci arriva passando dall'Occidente, dall'atlantismo, dall'ammirazione per Israele. Indro Montanelli scrive pagine mirabili sul miracolo israeliano. La «destra sociale» rimane filo-palestinese, ma il corpo dell'Msi, a poco a poco, abbandona quel retaggio. Restano scorie di antisemitismo, contraddizioni, ma la destra comincia a liberarsi del fardello. «Il nostro ministro degli Esteri Tremaglia era sicuramente più filo-israeliano dei ministri veri, quelli Dc», ha raccontato al Giornale Riccardo De Corato, ricordando che è stata un'amministrazione comunale di centrodestra la prima a invitare Liliana Segre a parlare in Consiglio. E proprio nelle liste Msi si era candidato, da indipendente, Alfredo Belli Paci, marito di quella che sarebbe diventata la senatrice a vita, simbolo della battaglia per la Memoria. E a Milano è il centrodestra a difendere la Brigata ebraica, come a Roma è stata la sinistra a non volerla al corteo del 25 aprile.
Gianfranco Fini, a Fiuggi e allo Yad Vashem, ha detto cose definitive. Ma a ben vedere questo nodo drammatico è stato sciolto da tempo, per chi vuole vederlo. Sondaggi attestano come l'antisemitismo stia oggi più a sinistra che altrove e proprio ieri Meloni ha nominato il prefetto Giuseppe Pecoraro coordinatore per la lotta contro l'antisemitismo.
A destra quei semi di ammirazione e amicizia hanno dato buoni frutti, basti pensare alla vicinanza a Israele di giovani
«colonnelli» come Marco Osnato. E ora, 78 anni dopo la Liberazione, nelle comunità ebraiche molti notano come sia il primo governo guidato dalla destra a non accodarsi in sede Onu alla sequela di assurde risoluzioni contro Israele.
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