Rutelli incassa soltanto pernacchie

Nel definire la linea della coalizione (che ha sfidato Silvio Berlusconi) e, poi, il profilo del nuovo governo Prodi, Francesco Rutelli aveva assunto un ruolo da sentinella della ragionevolezza moderata riformista. L'interlocutore più determinato delle voci della Chiesa cattolica che chiedono attenzione ai temi della cosiddetta morale naturale, l'interprete vigile delle posizioni degli ambienti borghesi e imprenditoriali pendenti (almeno temporaneamente) a sinistra, sia nella versione Repubblica sia in quella Corriere della Sera, il custode di una politica estera che non dimenticasse la scelta atlantica fatta dal nostro Paese.
In poche settimane Rutelli si è bruciato su tutti i fronti: ha fatto un affondo verso Pierluigi Bersani chiedendo «ben altre liberalizzazioni» e ne è uscito con le pive nel sacco. Ha detto a quelli di Rifondazione che non si potevano varcare precisi limiti nella politica estera, e i bertinottiani gli hanno fatto un paio di pernacchie, e hanno trattato solo con Romano Prodi. Ha chiesto una pausa di riflessione per confrontarsi con le posizioni dei vescovi italiani, e Franco Marini e Prodi hanno raccolto una settantina di firme di parlamentari della Margherita contro di lui, facendogli capire che doveva starsene a cuccia. Rutelli ha la psicologia dell'attor giovane, anche nei momenti più tragici se ne esce rivendicando un ruolo: l'amico Corriere della Sera gli ha offerto una sponda consentendogli di vantare una vittoria sulla legge per le coppie di fatto. Lui ha recitato la parte dicendo addirittura che escono sconfitti il laicismo sfegatato e il cattolicesimo integralista. Cioè di fatto ha mollato i suoi compagni di lotta nella maggioranza di centrosinistra, i cosiddetti teodem. Non sappiamo se l'ex sindaco di Roma troverà nel futuro spazio per risorgere ancora, ma oggi è completamente fuori dai giochi. Clemente Mastella ha preso il suo posto come interlocutore dei vescovi, Lamberto Dini sostiene posizioni più interessanti per gli americani di quelle rutelliane. Perfino Daniele Capezzone e Nicola Rossi contano più di lui nell'interlocuzione con un certo mondo delle imprese.
La strategia prodiana della tela di ragno similputiniana in economia e della palude senz'anima in politica non prevede spazi per gli attor giovani: dopo le botte ricevute da Piero Fassino, è toccato a Rutelli ricevere la sua dose. Ci si sottrae solo se si ha il proprio drappellino pronto a seguirti perinde ac cadaver come Mastella o se si sceglie la tattica di Marini e Massimo D'Alema che da caimani sulla riva del fiume aspettano il fallimento di Prodi. La tattica presenzialista rutelliana avrebbe potuto funzionare in un centrosinistra non ossificato dalla mancanza di base politico-parlamentare e dalla dittatura del grigiore prodiano. In questo caso avrebbe dato una qualche dinamica alla compagine di governo e avrebbe rischiato persino di modernizzare il Paese.

Oggi, nella palude, non ha nessuna possibilità di successo: il che è un problema per Rutelli, in parte per l'Italia e presto (speriamo) o tardi anche per un governo che puntando tutte le sue carte sugli imbrogli e le prepotenze non potrà non essere chiamato a rispondere delle sue responsabilità.

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