Il dettaglio, in politica, è sempre rivelatore. E allora, per capire l’evento mediatico di Chianciano, la visita di Francesco Rutelli al congresso radicale, e il duello incrociato fra valori e biografie e capacità comunicativa, bisogna partire dalla fine. Ecco il fotogramma per fotogramma. L’ex leader della Margherita ha finito di parlare, sta uscendo dal palazzetto. Cammina scortato da Marco Panella. Quando è quasi all’uscita si avvicina Sergio D’Elia, ex deputato, ma anche ex di Prima linea. D’Elia sorride a Rutelli; Rutelli sorride a D’Elia. D’Elia si fa prendere dallo slancio, e gli va incontro abbracciandolo. Alle spalle di D’Elia, l’ex leader Dl nota subito due fotografi che accorrono; e allora, per scongiurare uno scatto che probabilmente ritiene imbarazzante per la sua nuova identità politica, ha l’alzata di genio: mentre D’Elia gli cinge la spalla, si gira improvvisamente a sinistra (dove non c’è nessuno), e con un sorriso radioso esclama: «Ciao!». Deve avere visto «Sud», il film di Salvatores: «Se vieni mosso in foto non ti possono prendere».
Ecco perché, quello di ieri al Palamontepaschi, è stato un duello ancora più bello e raffinato da sviscerare. Allora: Rutelli deve uscire dal cono d’ombra. Minoritario nel Pd, un po’ spiazzato dalla leadership centrista di Dario Franceschini, ha bisogno di recuperare visibilità. L’idea geniale è intervenire da ex al congresso radicale: lui, che ha costruito la sua recente immagine sulle battaglie pro-life e sul dissenso dalla sinistra sul caso Englaro, va in casa dei più appassionati difensori del diritto all’autodeterminazione. L’ideale sarebbe che lo fischiassero, regalandogli una consacrazione per contrario: snobbato dai radicali, santificato dalla Curia di Roma e dai propri alleati Teodem: meglio di un certificato battesimale. Peccato che dall’altra parte della scacchiera ci sia Pannella, che è per sempre il suo maestro politico. Anche a Pannella serve la ribalta mediatica che la visita di Rutelli accende sul congresso. Ma per lui l’ideale è che Rutelli non sia fischiato. Tant’è vero che anche la sera prima mi spiegava: «Non ci saranno contestazioni. Ma se ci fossero le contesterei». Quindi, quando Rutelli sale sul podio si attiva un meccanismo di thrilling. Cosa dirà? Riuscirà a farsi contestare, senza essere maleducato? E se non viene contestato, cosa riuscirà a dire, sul palco del partito di Mina Welby ed Elisabetta Coscioni? Non a caso il discorso dell’ex sindaco è uno dei migliori che abbia sentito da lui negli ultimi dieci anni. Pacato, elegantemente ruffiano, perfettamente calibrato con la nota tecnica del sandwich: all’inizio e alla fine amarcord radicale, in mezzo qualche affettato lemma binettiano, di contorno un’abile ricostruzione autobiografica ex post. Racconta: «Non vi parlerò del mio essere cristiano... Ma dell’entusiasmo e della forza che avevamo ai tempi della campagna per la fame nel mondo». Subito si tira fuori dalle battaglie radicali che non si conciliano più col suo ruolo di ala destra del Pd: «Sono arrivato nel partito dopo il referendum sul divorzio, nel 1975...» (Prima sbianchettatura: da presidente del Copasir «dimentica» che arrivò con le battaglie antimilitariste sull’obiezione). Prosegue: «Iniziai prima della campagna sull’aborto, durante gli anni della battaglia pazzesca in cui noi chiedevamo un’alternativa non violenta al massacro degli innocenti, e un decreto di vita». Abilissimo: elimina il proprio ruolo sulle battaglie laiche e trasforma la campagna per la fame nel mondo in una campagna pro-life. E il secondo referendum sull’aborto? Come se lui non ci fosse più: «Alla fine la geniale battaglia sulla fame nel mondo fu abbandonata e io mi allontanai da voi, quando il partito prese la strada transnazionale». Abbandonata da chi? Rutelli va oltre: «...Era nata da una intuizione di Pannella» (impossibile fischiarlo mentre tributa onori al leader indiscusso).
Fino a qui zero a zero. Poi i cosiddetti temi sensibili: «La mia è la prima generazione che pensa alla scienza della vita...». Fa due esempi: «La clonazione, che implica manipolazioni e interessi commerciali». E «le droghe psicotrope, che stanno distruggendo la generazione dei miei figli, altro che gli spinelli di un tempo» (quelli che fumava pubblicamente lui). Poi arriva al nodo, concedendo una stoccata «ai fautori di un umanesimo laico contemporaneo» (i radicali) che hanno il limite di trovarsi di fronte a «un illusorio liberismo bioetico». Però di nuovo scarta, tornando alla fame nel mondo: «Una sconfitta che mi ha insegnato a stare a schiena dritta in minoranza» (la sua condizione attuale nel Pd). Quindi elogia «la Casa dei risvegli» contrapposto a «una norma che autorizzi a staccare la spina». E passa all’imperativo attuale: «Difendere la vita imperfetta, le vite abbandonate». Citazione finale? Il comico Alessandro Bergonzoni: «Credo in un bel forse, davanti al limite». Un po’ criptico, perfetto. Rutelli ha sorvolato da virtuosista non pronunciando quattro parole proibite: «idratazione e alimentazione», «sondino naso-gastrico», e soprattutto «Binetti». Non dice che restò radicale fino al 1989, sorvola di quando nel 1987 calò una bandiera pontificia sulla facciata di Montecitorio per protesta contro i patti lateranensi (!). La Bonino gira per controllare la platea, lui chiude con un altro frammento efficace di amarcord: «Il mio primo congresso, nel novembre 1975 a Firenze, quello in cui doveva venire Pierpaolo Pasolini, avevo 21 anni». Rivelazione: «Lo incontrai sulle scale di una palazzina all’Eur, in via Eufrate, dove abitavano sia lui sia una mia ragazza dell’epoca, pochi giorni prima. Gli chiesi se sarebbe venuto, mi rispose di sì, ma purtroppo fu ucciso, e il suo intervento venne letto da Gianni Borgna e Goffredo Bettini». Punzecchiatura: «Voi siete rimasti radicali, io sono diventato moderato...». Finale poetico: «Il viaggio per venire qui è stato meno denso di interrogativi di quello verso Firenze». Epigrafe: «Non sono venuto per darvi ragione, nemmeno per contraddirvi, ma per illustrare le mie ragioni».
Finisce. Applauso cortese e generoso. Un delegato salta su e lo contesta con il segno della mitragliatrice. Nessuno se ne accorge e Pannella lo incenerisce con lo sguardo. Il guru radicale prende il microfono e restituisce subito la stoccata: «Forse noi siamo moderati, e tu un po’ troppo radicale». Applauso. «Non so se questo Rutelli che ha parlato stasera sia lo stesso che vediamo agire nella politica italiana». Ma non infierisce: «Forse, quando eri nel partito, mi avrai sentito citare Pascal: chi vuol essere angelo è bestia». In platea si sorride. Altra zampata: «Pretendere di difendere in assoluto la vita fa di te un radicale, e di noi dei moderati». Rutelli va via.
Luca Telese
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