Cellule T, così agiscono nel rigetto degli organi trapiantati

A illustrare i risultati dello studio sul ruolo delle cellule T sono stati i ricercatori della University of Pittsburgh School of Medicine

Cellule T, così agiscono nel rigetto degli organi trapiantati

Il trapianto è un intervento chirurgico che consiste nella sostituzione di un organo o di un tessuto malato con uno dello stesso tipo proveniente da un donatore. A questa terapia salvavita si ricorre quando una grave insufficienza d'organo o una malattia del sangue non è curabile in nessun altro modo.

Una delle conseguenze più temibili della stessa è il rigetto (acuto, iperacuto e cronico) che si verifica quando il sistema immunitario del paziente trapiantato attacca il nuovo organo o tessuto, poiché viene riconosciuto come estraneo. Una nuova speranza che pone le basi per lo sviluppo di terapie anti-rigetto giunge da uno studio condotto dai ricercatori della University of Pittsburgh School of Medicine e pubblicato su "Science Immunology" sul ruolo delle cellule T.

È stato infatti dimostrato che le cellule T, un sottoinsieme di cellule immunitarie la cui funzione principale è quella di proteggere localmente da possibili re-infezioni, diventano nocive quando riconoscono antigeni che permangono a lungo nell'organismo, come accade nei trapianti di organo o di tessuto. Da tempo si era a conoscenza della loro implicazione nei rigetti acuti ma, secondo l'autore Khodor Abou-Daya, professore assistente di ricerca presso il dipartimento di chirurgia di Pittsburgh, nessuno sapeva se le stesse fossero funzionali.

Utilizzando un modello murino di trapianto di rene, gli scienziati hanno dimostrato che, nel tempo, le cellule T infiltranti un organo trapiantato si trasformano in cellule T residenti di memoria. Con l'unione chirurgica della circolazione sanguigna di due topi trapiantati di rene, si è constatato che le cellule T della memoria formate dagli organi trapiantati non sono in grado di trasferirsi da un roditore all'altro. Analogalmente, in caso di un rene ri-trapiantato in un altro topo le stesse sono rimaste nell'organo, senza diffondersi nel corpo del ricevente.

Lo studio ha dunque sottolineato che, nonostante la presenza dell'antigene ubiquitario, le cellule T di memoria residente non si esauriscono come accade nelle infezioni croniche e nei tumori. Al contrario, mantengono la loro funzione, proliferano e producono segnali per una risposta immunitaria prolungata, contribuendo così al rigetto del trapianto di rene.

A detta degli esperti, dunque, puntare specificamente su queste cellule potrebbe migliorare i risultati clinici dei trapianti, preservando la capacità del sistema immunitario di combattere le infezioni e riducendo gli effetti collaterali delle attuali terapie immunosoppressive sistemiche.

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