Non c’è solo la perdita di gusto e olfatto con il Covid, anzi, questi sintomi che prima erano estremamente indicativi della malattia, nel corso dei mesi hanno lasciato il passo ad altri, mutati così come le varianti con cui ci si infetta. Uno dei più fastidiosi, di cui purtroppo si parla poco, è la cosiddetta parosmia un’anomalia olfattiva che si manifesta nel percepire erroneamente gli odori, sentendo cattivi quelli che invece sono normali (cacosmia). Analogamente, può manifestarsi la disgeusia, o percezione di gusti spiacevoli. C’è chi vive costantemente sentendo un odore di bruciato, chi percepisce il sapore del vino come zolfo, e chi ancora sente come marcio qualsiasi tipo di alimento.
Si tratterebbe di manifestazioni da Long Covid, definizione che abbiamo imparato a conoscere bene, ovvero gli “strascichi” dell’infezione da Covid, anche se vissuto in maniera asintomatica. È corretto dire che, anche se non sono pericolosi rispetto ad altre patologie che possono manifestarsi, sono comunque estremamente fastidiosi e possono alterare, anche per lungo tempo, la nostra qualità di vita. La medicina si sta occupando ormai da tempo di questo fenomeno, riscontrato subito dopo la prima grande ondata, dove la priorità era quella di salvare vite umane. Ora che il virus è diventato con le varianti, meno aggressivo ma più contagioso, si comincia a indagare su queste spiacevoli conseguenze.
Secondo un recente studio condotto su persone con iposmia post-Covid (ovvero la riduzione della capacità olfattiva), 400 pazienti su 2000 hanno sviluppato parosmia a distanza di mesi. Ed è sufficiente visitare i vari gruppi Facebook dedicati alla parosmia, sia italiani che esteri, per rendersi conto che si tratta di un problema che riguarda moltissime persone. Nonostante siano stati fatti enormi passi avanti sullo studio del Long Covid sostanzialmente al momento non sono ancora ben chiari i motivi per cui cui il sistema olfattivo si alteri, anche se ci sono degli indizi che fanno pensare che si tratti di un fenomeno infiammatorio a livello centrale. Arianna Di Stadio, neuro-otorinolaringoiatra, ricercatrice all’UCL Queen Square Neurology a Londra e professoressa aggiunta di scienze uditive all’Università di Perugia in un’intervista aveva dichiarato: “I disturbi dell’olfatto in passato erano ritenuti collegati solamente a fenomeni infettivi a livello locale, cioè nel naso. Con il covid-19 abbiamo invece iniziato a osservare che l’anosmia derivava dall’infiammazione causata dal virus a livello centrale, nel cervello, anche se ci sono ancora pareri discordanti nella comunità scientifica su come questo accada”.
L’idea più accreditata è che il virus infiammi la struttura olfattiva dalla periferia al bulbo olfattivo. Se il recupero va bene, le fibre si riconnettono normalmente e non vi sono problemi a breve o a lungo termine. Ma se per qualche motivo, ancora sconosciuto, c'è una riconnessione sbagliata o una manccata riconnessione, si determina la parosmia. La gravità dipende da quante di queste strutture si sono riconnesse in modo non corretto. La buona notizia è che ci sono evidenze importanti sul fatto che si tratti di un fenomeno transitorio. Con il passare dei mesi gli scienziati hanno capito che bisogna analizzare i due problemi, mancanza di olfatto e comparsa di olfatto alterato dopo la guarigione. Michele Dibattista, neuroscienziato all’Università di Bari, che da oltre un anno studia i disturbi del gusto e dell’olfatto in pazienti Covid-19, in collaborazione con Anna Menini della SISSA di Trieste e Paolo Boscolo-Rizzo dell’Università di Trieste, ha un suo parere in proposito. "Pare che l’infezione non riguardi i neuroni, ma le cellule che accompagnano i neuroni, le cellule di sostegno. Probabilmente alterando queste cellule si distrugge l’omeostasi dell’epitelio, che trasforma il segnale chimico in elettrico da mandare al cervello. Quando c’è parosmia invece, non è ancora chiarissimo che cosa non funzioni. Ci sono lavori, per esempio, che trovano particelle virali nel cervello e altri che le trovano ferme alle meningi. Per avere un quadro definitivo servirebbero tanti campioni di tessuti umani, cosa che si può avere solo post mortem”.
Le possibili soluzioni
In attesa che gli studi su questi fenomeni di sponda vengano ultimati, c’è comunque la possibilità, tramite alcuni medicinali di portare sollievo a questi spiacevoli sintomi. Esistono centri che trattano il problema in tutta Italia, ma devono essere in studi clinici validati. Sono molti i gruppi di specialisti che stanno testando farmaci e protocolli per capire come le persone possano riacquistare l’olfatto e il gusto corretto.
L’attuale approccio medico è su tre diverse strade: farmaci come gli steroidi per contrastare l’infiammazione (per esempio cortisonici), nutraceutica (integratori di vitamine, minerali) e allenamento dell’olfatto tramite smell test. Tutte queste strade vanno però percorse sotto strettissima osservazione medica, lasciando stare i vari rimedi “per sentito dire” e affidandosi solo a centri specializzati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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