Disturbi alimentari: quale ruolo ha la componente genetica?

Sono diversi i disturbi alimentari la cui genesi è ricondotta ad elementi psicologici, psichiatrici o fattori ambientali. Recenti studi hanno evidenziato come la componente genetica possa avere un impatto rilevante nello sviluppo delle patologie

Disturbi alimentari: quale ruolo ha la componente genetica?

I disturbi alimentari si presentano come una patologia molto diffusa. Si stima ne sia affetto tra il 5 ed il 7,5% della popolazione e che siano in grado di generare notevole sofferenza e ampie ricadute sociali sfavorevoli.

Le malattie alimentari principali sono tre: anoressia nervosa, bulimia nervosa e sindrome da alimentazione incontrollata (anche nota come “binge eating”). All’insorgenza di queste patologie si associano, di solito, elementi di tipo ambientale e culturale, con riferimento prevalentemente alla narrazione veicolata dai mass e dai social media nei quali, sovente, la magrezza assurge a canone di riferimento estetico, a indice di successo, di realizzazione personale e di salubrità. Vi sono migliaia di account Instagram lì a testimoniarlo.

Un recente studio condotto dall’ospedale San Raffaele di Milano ha evidenziato come, durante la pandemia, vi sia stata una recrudescenza, specialmente tra gli adolescenti, dell’insorgenza di disturbi alimentari, in particolare di tipo anoressico: si stima un incremento nei nuovi casi di queste patologie di circa il 30% rispetto allo scorso anno, con numerosi eventi di ricaduta. Anoressia nervosa, bulimia e sindrome da alimentazione incontrollata, seppur generalmente più diffusi tra le ragazze, non hanno risparmiato gli uomini: si nota, ad esempio, un preoccupante aumento dei casi di ragazzi anoressici.

Altri aspetti tradizionalmente considerati nello sviluppo di disturbi alimentari afferiscono alla sfera psicologica e psichiatrica, dove si evidenzia come l’influsso di genitori ipercritici o che tendano ad essere troppo presenti e invadenti nella vita dei figli, un basso livello di autostima, una disfunzionale tendenza al perfezionismo e, in generale, la presenza di problematiche relazionali in famiglia possano favorire la genesi e lo sviluppo di queste malattie.

Recenti ricerche, condotte da un pool di studiosi americani ed europei principalmente sull’anoressia nervosa, pubblicate sia su The American Journal of Psychiatry che sulla rivista del dipartimento di psichiatria dell’Università del North Carolina, hanno suggerito che la presenza di alcune alterazioni genetiche possa giocare, sull’insorgenza della malattia, un ruolo autonomo rispetto ai fattori di rischio psicologico, psichiatrico ed ambientale-culturale generalmente considerati.

Ruolo del fattore genetico e metabolico sui disturbi alimentari

foto interna disturbi alimentari

Gli studi sui disturbi alimentari vengono normalmente condotti da una parte su gemelli omozigoti non separati alla nascita, che condividano quindi sia il patrimonio genetico che i principali fattori di tipo ambientale, dall’altra su gemelli separati dopo la nascita, così da incorporare fattori ambientali differenti. Una serie di ricerche ha evidenziato come tratti genetici possano favorire lo sviluppo dei disturbi alimentari: tra il 48 ed il 74% della predisposizione all’insorgenza dell’anoressia nervosa, fra il 55 ed il 62% di quella alla bulimia e tra il 39 e il 45% di quella relativa alla sindrome da alimentazione incontrollata sarebbero da attribuire ad elementi genetici e biologici.

Un importante e vasto studio della professoressa Laramie Duncan, della Stanford University, condotto su una popolazione di circa 14.500 persone di cui 3.500 affette da anoressia nervosa e 11mila scelte come campione di controllo, ha scoperto che un “locus” genico rilevante si trovi in particolare nel cromosoma 12, già associato ad alcune malattie quali il diabete di tipo 1, la vitiligine, l’artrite reumatoide, l’asma e l’alopecia areata.

L’insorgenza dell’anoressia nervosa sarebbe favorita dalla presenza del gene che comporta alti livelli di colesterolo HDL. Al contrario, lo sviluppo di questa patologia è meno probabile quando si rilevano geni associati all’obesità, ad elevati livelli di glicemia e insulinemia a digiuno.

La dottoressa Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta fondatrice e direttrice del Centro Francisci di Todi, afferma riguardo l’insorgenza dei disturbi alimentari: «Oggi, la dicotomia tra ambiente e genetica è stata superata […]. La comunità scientifica - prosegue la professoressa nell'intervista rilasciata a Osservatorio Malattie Rare - accetta che ci sia una componente epigenetica, oltre a quelle familiare, psicologica e traumatica, che contribuisce all’espressione del disturbo. C’è concordanza sul fatto che una vulnerabilità genetica possa far sì che la persona esposta agli altri fattori sviluppi più facilmente un disturbo alimentare […]». In particolare sembra che i fattori genetici, agendo in sinergia con elementi ambientali, possano creare una situazione propizia allo sviluppo di queste malattie.

Le conclusioni del più imponente studio internazionale finora condotto sinora sull’anoressia nervosa, promosso da prestigiosi centri di ricerca, tra cui il King’s College di Londra e l’Università di Padova, con il coinvolgimento di un campione di oltre 70mila persone, ha permesso di classificare questa malattia come un disturbo metabolico-psichiatrico.

La dottoressa Angela Favaro, ricercatrice del Padova Neuroscience Center, direttrice del dipartimento di Psichiatria 3 dell’azienda ospedaliera della città patavina e tra i firmatari dello studio, ha dichiarato: «L’anoressia nervosa è caratterizzata da un lato da un forte legame con altri disturbi psichiatrici come il disturbo ossessivo-compulsivo e la depressione, dall'altro sono evidenti aspetti metabolici che facilitano l'insorgenza della malattia e poi, una volta che la malattia è presente, rendono difficile ristabilire un equilibrio nutrizionale e portano a frequenti ricadute».

Il riconoscimento e la consapevolezza condivisa dell’influenza esercitata dai fattori genetici nell’insorgenza dei disturbi alimentari potrebbe rappresentare una rilevante chiave di volta nella cura di queste debilitanti patologie, da una parte educando i pazienti che presentano una maggiore

vulnerabilità ereditaria a non vivere questa come una stigmate ed a sviluppare una maggior consapevolezza dei rischi che corrono, dall’altra individuando bersagli farmacologici adeguati per il trattamento di queste malattie.

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