Ancora oggi, una cura definitiva per il morbo di Alzheimer putroppo non c'è ma una diagnosi precoce può rallentare il peggioramento del quadro clinico e migliorare la qualità della vita delle persone colpite e di chi sta accanto. La speranza di poter riconoscere l'insorgenza anticipata della malattia può essere fornita dalla tecnologia: un'app messa a punto dal gruppo di ricercatori dell'Università di San Diego, in California, guidato dal prof. Edward Wang, riconoscerebbe i segni precoci grazie a smartphone Pixel 4 capace di "leggere" i parametri oculari e come rispondono ad alcuni stimoli esterni. In pratica, la fotocamera riuscirebbe a esaminare la pupilla del paziente: da questa base si riuscirebbe a fare una prima analisi della patologia impossibile da percepire a occhio nudo.
L'importanza della tecnologia
L'innovazione consentirebbe anche di risparmiare enormi somme di denaro necessarie ai test di laboratorio e ad analisi accurate. L'importanza di una diagnosi precoce, poi, migliora notevolmente il declino cognitivo e le terapie risultano più efficaci. Infatti, alcui test effettuati su pazienti monitorati per un lungo periodo dimostrano che iniziare in tempo utile la cura con gli "inibitori della colinesterasi" (ChEIs) "riduce drasticamente le percentuali di ricovero in casa di cura e abbassa significativamente il deterioramento cognitivo e funzionale", scrivono gli esperti su Biomedicalcue. E poi c'è il dosaggio: se la malattia è leggera saranno necessarie quantità basse di farmaci che ridurrebbero anche gli effetti collaterali. Come ha spiegato Wang a TheVerge, l'app dovrà ancora essere sviluppata e servirà ancora un bel po' di tempo. La direzione, comunque, è tracciata: la tecnologia che nei prossimi anni andrà sempre più incontro alla Medicina.
Progetto Vitamina B1
Con uno stanziamento di 45 milioni di dollari, gli Stati Uniti stanno per iniziare uno studio clinico a livello nazionale per indagare sul potenziale terapeutico della benfotiamina, una versione sintetica della tiamina (vitamina B1), per il trattamento metabolico dell'Alzheimer. Lo studio va nella direzione dello sviluppo di nuovi test e terapie per tutte le persone a rischio morbo o che già ne manifestano alcuni sintomi. Lo studio dovrà valutare se alte dosi di benfotiamina aiuteranno le persone con malattia lieve.
La scoperta sui vaccini
Uno studio condotto dagli scienziati dell'Università del Texas a Houston su quasi due milioni di persone e pubblicato sul Journal of Alzheimer's Disease, ha visto che la vaccinazione contro l'influenza negli over 65 farebbe diminuire la possibilità di sviluppare disturbi di demenza, in particolare l'Alzheimer. Gli esperti hanno valutato due gruppi di 935.887 persone ciascuna, uno dei quali con questa vaccinazione mentre gli altri no. Ebbene, nei vaccinati il rischio è stato notevolmente ridotto. Serviranno nuovi studi per capire se esiste una correlazione diretta e se, eventualmente, sviluppare un vaccino ad hoc.
L'Alzheimer è stato diagnosticato per la prima volta più di 100 anni fa, nel 1906, dallo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer: questo disturbo rappresenta nel mondo la tipologia di demenza più frequente tant'é che soltanto negli Usa almeno il 10% degli over 65 soffrirebbe di questo disturbo. I sintomi sono vari e spaziano dalla perdita di memoria alla difficoltà di concentrazione e giudicare le situazioni fino, nei casi più gravi, a problemi con il linguaggio.
Il vero handicap, però, è rappresentato dalla difficoltà di eseguire una corretta diagnosi con l'istologico del tessuto cerebrale che rallenta notevolmente le tempistiche e le cure, oltre agli enormi costi per le strutture.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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