Melanoma, una speranza dai trapianti di microbiota fecale

L'importante scoperta nel campo della lotta al melanoma è opera dei ricercatori del Centro per la ricerca sul cancro del National Cancer Institute (NCI)

Melanoma, una speranza dai trapianti di microbiota fecale

Il melanoma è un tumore che deriva dalla trasformazione cancerosa dei melanociti, ovvero alcune cellule che formano la pelle. Rappresenta il 5% di tutte le neoplasie che interessano la cute. In Italia si stimano 7.300 nuovi casi ogni anno fra gli uomini e 6.700 fra le donne. Dati AIRTUM alla mano, la sua incidenza è aumentata regolarmente del 3,6% annuo nel sesso maschile e del 2,5% annuo in quello femminile. Tuttavia, l'incremento è stato registrato per tutti i nati fino alla metà degli anni '70 e non per le generazioni successive che, diversamente, hanno assistito a un'inversione di tendenza. Raro nei bambini, il melanoma colpisce in particolar modo gli adulti di età compresa tra i 45 e i 50 anni.

I ricercatori del Centro per la ricerca sul cancro del National Cancer Institute (NCI), in collaborazione con i colleghi dell'UPMC Hillman Cancer Centre presso l'Università di Pittsburgh, hanno scoperto che i trapianti di microbiota fecale, ovvero l'insieme dei microrganismi in essa contenuti, possono aiutare i pazienti con melanoma che non rispondono ai farmaci immunoterapici. Lo studio è stato pubblicato su "Science". Negli ultimi anni i farmaci immunoterapici chiamati inibitori del PD-1 e del PD-L1 si sono rivelati importanti per molti individui; resta, però, la necessità di soluzioni anche per coloro che non rispondono a questo trattamento.

Dall'indagine è emerso che cambiare il microbioma intestinale, cioè il patrimonio genetico del microbiota, può riprogrammare il microambiente del melanoma resistente ai farmaci immunoterapici, rendendolo più vulnerabile alla cura. Al fine di verificare la sicurezza dei trapianti fecali, il co-leader dello studio Giorgio Trinchieri e i suoi colleghi, hanno sviluppato una piccola ricerca clinica a braccio singolo per soggetti con melanoma avanzato che non avevano risposto a uno o a più cicli di trattamento con gli inibitori del checkpoint immunitario pembrolizumab o nivolumab, somministrati da soli o in combinazione con altri medicinali. Tali inibitori rilasciano un freno che impedisce al sistema immunitario di attaccare le cellule tumorali.

I trapianti fecali ottenuti da pazienti con melanoma avanzato che avevano risposto a pembrolizumab sono stati così analizzati, per garantire l'assenza di trasmissioni di agenti infettivi. Dopo il trattamento con soluzione salina, sono poi stati trasfusi ai malati tramite colonscopia. In seguito a questa procedura, 6 soggetti su 15 che non avevano risposto al trattamento con gli inibitori, hanno visto una riduzione della neoplasia o una stabilizzazione della stessa a lungo termine.

In essi, inoltre, si è constatato un aumento del numero di batteri associati all'attivazione di cellule immunitarie, chiamate cellule T.

Sulla base della ricerca, gli scienziati hanno sottolineato come vi sia la necessità di condurre studi clinici più ampi per confermare i risultati e identificare i marcatori biologici da utilizzare, con la finalità di selezionare individui con maggiori probabilità di beneficiare di trattamenti che alterano il microbioma intestinale.

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