Retinite pigmentosa, tornare a vedere si può

Uno studio dell’Istituto Italiano di Tecnologia e dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova ha mostrato come sia possibile ridare la vista, grazie ad una retina artificiale, a chi è diventato cieco a causa della malattia ereditaria

Retinite pigmentosa, tornare a vedere si può

Riacquistare la vista dopo averla persa a causa della retinite pigmentosa non è fantascienza.

Un progetto dell’Istituto italiano di tecnologia e dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova ha sviluppato una tecnologia rivoluzionaria e poco invasiva che permette ai ratti di riacquistare la capacità di vedere. E così lo studio sull’uomo si avvicina.

Che cos’è la retinite pigmentosa

La retinite pigmentosa è una malattia genetica e, tra le degenerazioni visive che danneggiano il funzionamento dell’occhio, è ancora tra le cause principali di cecità nel mondo. La patologia inizia con una difficoltà della visione crepuscolare e notturna e si manifesta con restringimento progressivo del campo visivo.

Lo studio italiano

Un modo per ridare la vista a chi l’ha persa c’è ed è al centro dello studio condotto dalla dottoressa Simona Francia, dal gruppo di ricerca del prof. Fabio Benfenati, dall’Istituto italiano di tecnologia (IIT) e dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications.

Gli esperti hanno verificato che la somministrazione di nanoparticelle biocompatibili permette ai modelli sperimentali di riprendere a vedere.

Da diversi anni studiamo le potenzialità di nanoparticelle polimeriche costituite da minuscole catene di molecole di carbonio, l’elemento alla base delle sostanze che compongono il nostro corpo – afferma in una nota dell'ateneo Fabio Benfenati, coordinatore dello studio – e nel 2020 avevamo ottenuto i primi successi dopo averle iniettate nella retina di roditori affetti da retinite pigmentosa portatori di una mutazione spontanea alla base anche della patologia umana".

I dati dell'esame sono positivi anche in relazione agli stadi più gravi della patologia. "I risultati ottenuti dall’ultimo progetto – dichiara Benfenati - hanno dimostrato che la strategia è vincente anche per le fasi più avanzate della malattia, quando cioè la retina non è più in grado di inviare le informazioni visive al cervello”.

La prima autrice dell’opera, Simona Francia, sottolinea inoltre come lo studio sia un’ulteriore tappa verso la terapia di patologie come la retinite pigmentosa e la degenerazione maculare legata all’età.

Non solo queste nanoparticelle si distribuiscono ad ampie aree retiniche permettendo di guadagnare un ampio campo visivo – sono le sue parole - ma in virtù delle loro piccole dimensioni sono in grado di assicurare un recupero dell'acuità visiva. Inoltre, l’iniezione delle nanoparticelle permette non solo di registrare segnali elettrici dalla corteccia visiva che sembrava essersi spenta ma anche di formare memorie visive, come dimostrato dai test comportamentali.

Le prossime tappe della ricerca

L'analisi, portata avanti in collaborazione con il prof. Guglielmo Lanzani dell’Istituto italiano di tecnologia di Milano e la dott.

ssa Grazia Pertile dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, permetterà di fare grandi passi avanti rispetto alle tecnologie finora disponibili. Gli studi clinici potrebbero partire già nel 2025.

Simona Francia ha ricevuto, per il progetto ReVISION, il premio della Fondazione Roche.

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