Si stima che circa una donna su dieci ne venga colpita nel corso della vita. Il tumore al seno è la neoplasia più frequente del sesso femminile e rappresenta il 29% di tutte le forme cancerose che interessano le donne. Si caratterizza per la formazione di un tessuto costituito da cellule che crescono in maniera anomala e incontrollata all'interno della ghiandola mammaria. Allo stadio iniziale il carcinoma mammario è confinato nel tessuto adiposo (Stadio 1). In seguito può diffondersi nelle immediate vicinanze (Stadio 2) o estendersi ai tessuti circostanti della parete toracica (Stadio 3). Lo stadio 4, infine, corrisponde al cosiddetto tumore al seno metastatico. Se la malattia viene diagnosticata allo stadio 0, la sopravvivenza a cinque anni nelle pazienti trattate è del 98%. Tuttavia bisogna tener conto delle ricadute che variano tra il 9 e il 30% dei casi a seconda della terapia effettuata.
Non sono ancora note le cause di questa neoplasia, esistono però fattori di rischio in grado di influenzarne la comparsa. Innanzitutto l'età. La maggior parte delle diagnosi riguarda individui con un'età superiore ai 50 anni. Sotto la lente di ingrandimento, poi, la prima gravidanza dopo i 30 anni, la menopausa tardiva, la nulliparità, il menarca prima dei 12 anni e la familiarità. Circa il 10% dei soggetti, soprattutto giovani, ha più di un parente affetto dal tumore al seno. Diversi studi hanno inoltre dimostrato che esiste una correlazione tra un uso eccessivo di estrogeni e lo sviluppo della patologia. A determinare la stessa è anche una ormai riconosciuta predisposizione genetica. Le più note tra le mutazioni sono quelle a carico dei geni oncosoppressori BRCA-1 e BRCA-2, dai quali dipende il 50% delle forme ereditarie di cancro.
È bene specificare che in casi del genere si eredita la predisposizione al carcinoma mammario, non la malattia stessa. Altri fattori di rischio includono l'obesità, il sovrappeso, la sedentarietà, il fumo di sigaretta, l'abuso di alcol e una dieta povera di frutta e verdura. L'obiettivo principale è quello di giungere ad una diagnosi precoce mediante l'osservazione e la palpazione periodica del seno. Il primo segno clinico a cui si deve prestare attenzione è l'aumento della sua consistenza legato alla presenza di noduli. Da non sottovalutare, poi, le piccole rientranze della cute, le secrezioni sierose o ematiche, le lesioni eczematose e l'ingrossamento dei linfonodi sotto l'ascella.
"Fa che il cibo sia la tua medicina" consigliò Ippocrate e non a torto. La nutrizione, infatti, è uno degli elementi a cui si presta maggiore attenzione dopo una diagnosi di tumore. In particolare si parla spesso del digiuno come strumento per affamare le cellule neoplastiche e migliorare l'efficacia della terapia. Ma come spiega il professor Maurizio Muscaritoli, Predidente SINuC, si tratta di un argomento delicato che deve essere trattato da specialisti con la massima competenza. L'efficacia della cosiddetta 'dieta mima-digiuno' (FMD, acronimo di Fasting Mimicking Diet), ovvero un piano alimentare a base di vegetali e bassi livelli di calorie e proteine, è stata testata da uno studio olandese apparso su 'Nature Communications'. Protagoniste della ricerca 131 donne affette da tumore al seno HER-2 negativo allo stadio 2/3.
"Periodi di digiuno di almeno 48 ore - afferma Muscaritoli - sono necessari per indurre significativi cambiamenti nel metabolismo, tra i più importanti la diminuzione di insulina (insulin growth factor -1 IGF-1) e di glucosio. Effetti metabolici simili possono manifestarsi dopo regimi brevi a bassissimo contenuto calorico e basso apporto proteico". Ma come funziona questo meccanismo definito 'resistenza differenziale allo stress' o DSR? Quando l'organismo viene sottoposto a digiuno, le cellule sane entrano in uno stato di riparazione. Quelle tumorali, invece, soffrirebbero la mancanza di nutrienti e fattori di crescita necessari alla loro proliferazione rapida e incontrollata.
Nello studio sopra citato le 131 pazienti sono state assegnate a due gruppi. Il primo ha seguito il proprio regime alimentare 3 giorni prima e durante 6 cicli di chemioterapia adiuvante. Il secondo, invece, ha seguito il regime mima-digiuno prima e durante la chemio per un totale di 4 giorni. Alle donne del secondo gruppo è stata assegnata una dieta di circa 1200 kcal il primo giorno, ridotte poi a 200 kcal nei tre giorni successivi, derivate per l'80% da carboidrati complessi. Le partecipanti che hanno seguito restrizioni per più cicli hanno mostrato una perdita di cellule tumorali tra il 90 e il 100% tre volte maggiore.
La restrizione calorica, dunque, sembrerebbe proteggere le cellule sane da fattori di rischio e stress come la chemioterapia. Le cellule malate, al contrario, non sono in grado di adattarsi alla scarsità energetica e per questo subiscono quella che viene chiamata 'sensibilizzazione allo stress'.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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