Le urgenze dell'inurbamento, il pretesto dell'edilizia popolare, l'equivoco del razionalismo hanno generato una quantità di mostri architettonici denunciati dai numeri. Su 25 milioni di edifici innalzati (a partire dai sopravvissuti templi del VI secolo a.C. di Segesta, Paestum e Agrigento), se ne contano 12 milioni fino al 1959; e 13 milioni dal 1960 a oggi. Dunque, in 60 anni si è edificato di più che in 2600.
È evidente che dati sconvolgenti come questo indicano una produzione selvaggia che ha reso l'Italia brutta per chi si applichi a guardarla nella sua perimetrazione più vasta. Chi vada a Ruvo di Puglia o a Rossano Calabro, prima di arrivare nel centro storico, deve attraversare strati di periferie indefinite con edifici fatiscenti, secondo tipologie condominiali già degradate per la cattiva esecuzione di improbabili architetture, vere e proprie scatole da scarpe come una signora arroccata nel quartiere Pirelli nel 1923 a Milano giudicava lo sviluppo della Bicocca: scatole da scarpe.
L'Italia dei templi, delle chiese romaniche, degli edifici rinascimentali, delle città barocche, è sopraffatta da una produzione speculativa, meccanica, spesso dovuta ad architetti di programmatico impegno sociale, distruttori consapevoli, non ossequiosi a un regime ma regime essi stessi.
Dopo gli ultimi conati di architetti rari e sofisticati come Carlo Scarpa, Luigi Caccia Dominioni, Mario Ridolfi, Gino Valle, Paolo Portoghesi, la produzione architettonica di qualità in Italia si è contratta nei rari esercizi di più giovani architetti come Mario Botta o Francesco Venezia, in aperto contrasto con tristi interpreti di linguaggi equivoci di ispirazione velleitaria (penso a De Carlo e Minissi), come Stefano Boeri. Ma non sono interessato in questo momento alla polemica con la loro produzione inqualificante, bensì alla trascuratezza e al degrado di rari esempi di concezione distinta e ambiziosa. Mi riferisco alla denuncia, da me amplificata, di Edmondo Papanice, davanti ai ripetuti vandalismi di un edificio progettato da Paolo Portoghesi e destinato ad Ambasciata di Giordania: «Si chiede alla Soprintendenza e/o Ministro Franceschini l'avvio della procedura di dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell'art. 10 comma 3 del d.lgs n.42/2004 e successive modifiche che prescinde dalla data di realizzazione dell'opera e dalla morte dell'autore. In passato tale richiesta fu accolta dall'allora comitato tecnico scientifico ma si arenò per l'impossibilità di verificare lo stato degli spazi interni richiesta dallo stesso Mibact ma negato alla Soprintendenza dall'Ambasciata del Regno Hascemita di Giordania. La mia denuncia del 7 luglio 2020 alla Soprintendente Daniela Porro sta facendo il giro del mondo. Le canne metalliche della ringhiera della scala esterna e della cancellata di recinzione erano collegate tra loro in modo da osservare ritmi armonici, rispecchiando modulazioni che sono sviluppo di matrici matematiche. È stata abbattuta la scala esterna, i tubi cilindrici in acciaio che compongono la cancellata di recinzione, il gruppo di canne di eternit che formava l'organo sul tetto, il rivestimento in klinker maiolicato sulla facciata rovinato (dove le prime note della primavera di Vivaldi sono state trascritte in termini matematici), le canne di ferro della recisione dei balconi e chissà cosa è accaduto all'interno. L'archi-star Paolo Portoghesi aveva inviato all'Ambasciata un progetto di restauro senza ricevere alcuna risposta».
Ci riferiamo a casa Papanice, a Roma, progettata nel 1966 e compiuta nel 1969. Fu realizzata, su richiesta dell'imprenditore edile Pasquale Papanice, dall'architetto romano Paolo Portoghesi insieme all'ingegnere salernitano Vittorio Gigliotti. Sorge nei pressi del quartiere Nomentano. La casa è su tre livelli con un alloggio per piano e un piccolo attico, costruito nella parte residua di un parco privato. Le pareti sono bombate e rivestite da listelli di maiolica colorati. Il soffitto del soggiorno è increspato da cilindri concentrici. I parapetti dei balconi e il coronamento sono stati realizzati con canne di metallo, oggi purtroppo eliminate.
La villa è stata set di importanti film d'autore come Dramma della gelosia: tutti i particolari in cronaca di Ettore Scola; Lo strano vizio della Signora Wardh di Sergio Martino e La Dama rossa uccide sette volte di Emilio Miraglia.
A livello tipologico l'edificio risponde ai canoni del villino signorile su tre livelli, con un alloggio per piano e un piccolo attico. Il progetto dimostra come l'articolazione plastica delle superfici delimiti lo spazio, predisponendosi a una ricerca formale che ha le sue radici nel Barocco Romano, cui l'architetto guarda come eredità inevitabile. E la integra con suggestioni provenienti dalle Secessioni e dall'Art Déco. In linea con le tendenze dell'architettura barocca, Portoghesi pone l'uso sistematico della linea curva sulla modellazione dello spazio interno attraverso l'inflessione delle pareti.
La curvatura delle pareti perimetrali, che si alternano tra concave e convesse, caratterizza formalmente la composizione. L'esterno è rivestito da bande verticali in maiolica, differenziate da colori che richiamano gli elementi naturali; i parapetti dei balconi sono invece realizzati con canne d'organo in metallo. All'interno le pareti sono dipinte con fasce colorate che le percorrono orizzontalmente, mentre una serie di cilindri concentrici originati da tre serie diverse di poli definiscono i soffitti del soggiorno. La transizione tra spazio esterno e spazio interno individua un tipo di apertura denominata «finestra dialettica», risultato di diverse contrapposizioni di muri inflessi. Il muro inflesso, ottenuto attraverso una superficie curva che varia a seconda della posizione degli spazi interni ed esterni, determina una prospettiva che consente di modellare lo spazio come fosse sostanza plastica.
Nel film Dramma della gelosia, con Marcello Mastroianni, Giancarlo Giannini, Monica Vitti, la coscienza dell'architettura si fa parte integrante del dialogo fra i personaggi. Famosa la scena in cui i due sono affacciati al terrazzo e lei gli domanda: «Ma che so' tutte 'ste canne?», e lui risponde: «È una precisa qualificazione geometrica... così ce stava scritto sul progetto della casa».
La presenza di architetture degli anni '50 e '60 in alcuni film italiani ha un notevole significato come memoria storica e documentazione dello stato degli edifici soprattutto di fronte a compromissioni e a distruzioni che, in riferimento alla spesso mutata situazione di oggi, i film documentano. Nel film Rocco e i suoi fratelli resta testimonianza dell'edificio dell'Alfa Romeo a Milano distrutto con le ruspe nel 2008. Appare utile e insieme inquietante che i film di quegli anni garantiscano la sopravvivenza e la memoria di ciò che è stato barbaramente eliminato. Occorre per questo essere determinati perché di alcuni edifici non resti solo una documentazione cinematografica. Lo smantellamento o smontaggio di alcune componenti innovative dell'architettura di Portoghesi è un esempio di trascuratezza e indifferenza che esclude ogni interesse per il progetto. Ne è pienamente consapevole lo stesso architetto: «Casa Papanice fu un atto di protesta contro il grigiore delle palazzine moderne, che sorgevano una accanto all'altra, come una catena, a chiudere e neutralizzare lo spazio delle strade. Attraverso il suo rivestimento di maiolica, l'edificio dialogava con la luce del cielo e il verde degli alberi, che furono conservati gelosamente al loro posto. Per me il postmoderno doveva essere la fine del proibizionismo, la libertà di esprimersi per tutti i popoli, senza dimenticare la propria identità. Purtroppo le cose sono andate diversamente», dice Portoghesi, nel libro Roma/amoR (Marsilio, 2019).
Anche da questa memoria storica deriva un senso profondo di inquietudine e di inappartenenza che subito di un'architettura che non è nata per essere durevole. Eppure i segni della storia, come indicano le presenze residuali nella filmografia, sono anche qui, in tempi infami, di potere senza potere. Comandano e si piegano fino a sparire, persone e cose.
Ecco allora che ciò che rischiava di rimanere inosservato riappare, con un'evidenza di incultura e di abbandono rispetto alle severe esigenze di stile che mossero, in questo caso, Paolo Portoghesi. Provveda lo Stato con un vincolo di difesa dell'architettura e della memoria. Casa Papanice sia un paradigma.
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