Da Sant’Ambrogio al cane Rex Un rosario di gaffe per Pisapia

Rimedia bacchettate sul patrono di Milano e cerca di compiacere il Santo Padre citando il suo telefilm preferito. Imbarazzo in mondovisione

Da Sant’Ambrogio al cane Rex Un rosario di gaffe per Pisapia

Milano«In fondo Anche Sant’Ambrogio era straniero». «Ricordo che Sant’Ambrogio era romano». Può un sindaco litigare con un Papa? Può un Pontefice bacchettare un sindaco? Ovviamente no. Eppure lo scambio di battute, sul palco di piazza del Duomo, avviene. C’è il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che dedica dalla prima all’ultima riga il suo intervento a dare una versione politicamente corretta della visita di Ratzinger sotto la Madonnina. E Benedetto XVI che sembra quasi distratto, visibilmente provato dal viaggio, ma che in realtà non perde una virgola del discorso del sindaco. Gli spin doctor del Papa lo hanno sicuramente preallertato sul clima che lo attende a Milano: non l’accoglienza celebrativa e festante di piazza Duomo, ma sul clima politico, su un sindaco che - sulla spinta dell’ala più radicale della maggioranza - ha aspettato la vigilia della visita per rilanciare sulle coppie di fatto, e che anche nel suo discorso di benvenuto non perde occasione per una frecciatina sulle unioni allargate. A questo, Razinger non replica, proprio perché non si usa che il successore d Pietro battibecchi con un politico di provincia. Ma la soddisfazione di segnare con la matita blu lo strafalcione del sindaco se la prende. Ambrogio, Patrono di Milano era straniero: ma non era un vu cumprà, era un figlio di patrizi romani nato a Treviri. Giusto per rimettere le cose a posto.
L’intervento di Pisapia si muove tutto su un crinale sottile. Il sindaco sa di avere dalla sua parte un elemento forte: l’alleanza con la Chiesa milanese sulla questione sociale, sulla vicinanza agli ultimi, sull’apertura alle fedi dei «nuovi milanesi». In questo la Curia milanese è ancora quella di Martini, del dialogo interconfessionale, della «cattedra dei non credenti»: e non è casuale che l’ultimo benvenuto che Pisapia dà a Ratzinger sia proprio il «anche dai non credenti». E di questa affinità sociale con la Diocesi, il sindaco nel suo intervento è attento a cogliere i dettagli e gli spunti, come quando evoca una battaglia comune col cardinale Scola contro le aperture festive dei negozi, «perché la domenica appartiene alle famiglie».
Peccato che poi ci sia il resto, ovvero la distanza siderale tra una parte decisiva della «Milano arancione» e ciò che oggi la Chiesa rappresenta. Basterebbe una rapida rassegna dei siti e dei social network che sostengono Pisapia per avere della visita di Benedetto XVI a Milano un’antologia che varia dall’irriverente all’irriferibile. E di un Pisapia tirato per la giacca dalla componente più estremista della sua maggioranza è figlia certamente l’uscita, all’antivigilia della visita pastorale, in cui il primo cittadino lanciava un ultimatum sul registro per le unioni di fatto, sollevando le ire del Pd cittadino; e di paragonare l’arrivo del Papa a quello di altri leader religiosi ricevendo il severo rimbrotto di Avvenire (che lo ha definito «stupefacente e arrogante»). Sul palco di piazza del Duomo, col ciuffo bianco mosso dal vento, Pisapia deve parlare a due Chiese diverse, la Chiesa reale e la Chiesa che vorrebbe, quella che nutre i senzatetto milanesi e quella che pensa che le famiglie siano fatte di mariti e mogli. Alla fine cerca di buttarla sul ridere, e uscendo a piè pari dal protocollo racconta al Papa che anche lui, come Ratzinger e il fratello, «guardavo il commissario Rex». Il Papa a questo non risponde.

E poi, come fanno notare i malevoli su Facebook, davvero Pisapia a 44 anni guardava i telefilm? E il sindaco non resta da solo nelle gaffe: il soprintendente Lissner lo accoglie parlando di «destino». Una visione non proprio cristiana.

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