predicò in un mondo e in un tempo in cui Dio si è
ritirato, la cristianità presa a morsi e rimorsi dal nichilismo gaio e
dall'ateismo pratico, dai propri complessi di colpa e dal fanatismo
islamico. A tutti i papi era accaduto di fronteggiare pagani e
musulmani, eretici e satanici, miscredenti e carogne, a volte anche
interni alla Chiesa. Ma non era mai accaduto di dover fronteggiare
oltre i suddetti anche un deserto così esteso e profondo
d'indifferenza, cinismo e ironia. La sua lunga lotta contro l'Allegra
Disperazione dell'Occidente fu coronata da un magnifico insuccesso.
È stato il papa dell'Europa che si unisce e tramonta, del comunismo
sconfitto da un altro materialismo e del riarmo islamico. Mai un papa
ha parlato così tanto e a così tanta gente e mai è stato così
inascoltato. Il pensiero debole del relativismo dispone di poteri
forti; il pensiero forte di Wojtyla aveva invece poteri fragili, la
parola e la Croce.
Giovanni Paolo II testimoniò la grandiosa
sconfitta del cristianesimo nella vita quotidiana. Ebbe un ruolo
straordinario sul piano storico, contribuendo come nessuno a mutare
assetti; ma raccolse uno straordinario insuccesso sul piano etico e
religioso, perché i suoi appelli furono elusi e delusi, alla difesa
della morale e della famiglia, alla fede e alle radici cristiane
dell'Europa. Un vinto. Come Cristo, del resto. Lui fermò l'onda del
Concilio Vaticano II, ma senza tornare indietro, alla Chiesa
preconciliare.
Il papa non abbracciò l'idea di uno scontro di
civiltà e di un conflitto religioso con il fanatismo islamico. Secondo
Wojtyla la prima minaccia all'occidente e alla cristianità non
proviene dall'esterno, ma dall'interno. La stessa caduta del
comunismo a cui il papa contribuì in modo decisivo, non fu letta
solo come la vittoria dei valori di libertà e dignità umana ispirati
dal cristianesimo: ma come il passaggio, denunciato più volte dal
Papa e da Solzenicyn, dall'ateismo ideologico del comunismo all'ateismo
pratico delle società capitaliste. Per il Papa il nemico principale
della cristianità non è il fondamentalismo
delle fedi altrui ma il relativismo etico del nostro occidente, la
scristianizzazione. Giovanni Paolo II denunciò il tradimento
dell'Unione Europea verso la civiltà cristiana. L'Europa unita che
volta le spalle alle radici cristiane ed inclina verso
quel relativismo etico che la porta a riconoscere legittimi l'aborto,
l'eutanasia, le manipolazioni genetiche, le famiglie gay, i matrimoni
provvisori, la liberazione sessuale e la contraccezione.
Ci fu un effetto Wojtyla anche sull'Italia. Sotto il suo
pontificato finì l'era della Democrazia cristiana; il papa polacco
spense il collateralismo politico della Chiesa e generò un
interventismo diretto della Chiesa sui temi civili, famigliari e
morali che toccano la vita e i principi cristiani. Finì, con l'era
Wojtyla, la delega ai partiti; il mondo
cattolico da allora esprime direttamente le proprie posizioni, senza
la mediazione del partito. Semmai sono i partiti e le coalizioni a
cercare di intercettare le istanze della Chiesa e dei cattolici.
Ricordo quando il papa entrò nell'aula di Montecitorio come un
apostrofo bianco galleggiante nel blu istituzionale dei poteri
civili. Lui curvo per malanni, loro curvi per deferenza. La chiave
del suo discorso in Parlamento fu la tradizione, a cui si riferì più
volte: «Il patrimonio di valori trasmesso dagli avi»,
l'impossibilità di comprendere l'Italia e l'Europa «fuori da quella
linfa vitale costituita dal cristianesimo», la necessità di «fondare
la casa comune europea sul cemento di quella straordinaria eredità
religiosa, culturale e civile che ha reso grande l'Europa nei secoli»,
«le tracce gloriose che la religione cristiana ha impresso nel costume
e nella cultura del popolo italiano », il richiamo alle
testimonianze d'arte e di bellezza fiorite in Italia nel nome
della fede, al diritto naturale e al sentire comune tramandato;
infine il suo appello agli italiani a «continuare nel presente e nel
futuro a vivere secondo la sua luminosa tradizione». Un grande
discorso che dista anni luce.
Nel suo
libro-testamento «Memoria e Identità», risuona l'antico messaggio di
Dio, patria e famiglia; c'è la difesa dell'amor patrio e della nazione,
la lingua e le tradizioni, la natura e la cultura dei popoli; il
richiamo alle radici cristiane dell'Europa, dimenticate dagli
eurocrati vigliacchi e smemorati; la difesa della Tradizione con
la T maiuscola; c'è l'equiparazione
dell'aborto allo sterminio degli ebrei, c'è lo sconveniente parallelo
tra il nazismo e il comunismo; c'è la denuncia dell'ideologia
radicale, ad esempio attraverso «il riconoscimento delle unioni
omosessuali come forme alternative di famiglia», c'è la difesa della
vita. Invece le fabbriche dell'opinione dominante nel celebrarlo si
soffermano sui gesti mediatici, sugli aspetti telegenici ed
emozionali, sui messaggi di pace, caduti anch'essi nel vuoto, sulle
molteplici scuse che ha chiesto per gli orrori del passato cristiano.
Esaltano la sua personalità, la sua simpatia, il suo carisma di leader
e dimenticano il suo carisma religioso e il suo ruolo di Vicario di
Cristo. Lo vivono come una star, separandolo dalla sua Tradizione.
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