Scatta il «repulisti» tra i banchi del Parlamento

RomaFatto Bersani, ora bisogna fare i bersaniani. Compito non facile e non scontato, se è vero - com’è vero - che il Pd veltronianamente nasce partito «liquido» e i suoi parlamentari, all’uopo, sanno «scivolar via» come olio. Sapendo quale sia l’onda vincente, e di certo mai controcorrente.
Le primarie del Pd, in questo senso, sono state esemplari quanto un piccolo trattato di teoria del caos, e i «correnti» da uno schieramento all’altro dei veri centometristi. In un partito «transumante», il minimo che ci si potesse attendere. Ma ora, come si diceva, passata la festa, il fardello spetta al segretario Bersani, il più solido sulla piazza. Anche perché, all’interno delle mura parlamentari, il suo peso sarà tutto da inventare. Il leader ci metterà mano, si dice, soltanto dopo il repulisti nel partito: dunque, potrebbe slittare verso fine anno. L’ipotesi di un «congelamento» dei capigruppo a dopo le Regionali di primavera viene ritenuta di scuola, anche perché a Montecitorio il presidente è il sardo Antonello Soro (maliziosamente ribattezzato il «sordo» dopo la figuraccia in aula sullo scudo fiscale). Già Dc, popolare e margheritino, Soro più volte ha sventolato la lettera di dimissioni in assemblea: se stavolta riusciranno a strappargliela di mano, potranno renderla finalmente esecutiva. Anche ieri il Nostro ha fatto fuoco e fiamme. I boatos davano per scontato che fosse per andar via, poi s’è saputo che era per restare.
Al suo posto, la voce prevalente direbbe Enrico Letta. L’eterno enfant prodige è abituato bene e ha puntato sul cavallo giusto. Se non che, pare non si voglia spendere per meno di una candidatura da premier, e per fargli accettare la diminutio alla Camera dovranno fargli intendere che si tratta di un trampolino di lancio. Per contrappeso, con Letta alla Camera, sarebbe però arduo consentire alla prudente Anna Finocchiaro di mantenere la poltrona al Senato, considerato anche che a Palazzo Madama la percentuale di «franceschiniani» si aggirerebbe ancora poco sotto il 60 per cento (alla Camera ormai se la battono alla pari). Al suo posto, l’ultraprudente Vannino Chiti (già vicepresidente del Senato) o l’ultracattolico Luigi Zanda? Avendo soppesato i candidati alternativi, e saputo delle minacce del franceschiniano Soro alla Camera («Se vado via io, si andrà al muro contro muro»), Bersani ha rinunciato all’idea di muovere alcunché. Letta sarà ricompensato portandolo al partito, magari in veste di «coordinatore alla segreteria» (trampolino di lancio numero due).
In ogni caso, domani, alle assemblee dei gruppi subito convocate, i due presidenti si presenteranno dimissionari come si conviene e resteranno «congelati» per l’ordinaria amministrazione fino al 7 novembre, data d’insediamento di Bersani. Inutile rilevare il forte valore simbolico della data, «iconizzata» dalla sfilata sulla Piazza Rossa di Mosca. Nel suo piccolo, anche il Pd farà la sua rivoluzione: Bersani presenta la sua squadra e l’assemblea elegge il presidente. Per l’alto onore si fanno tre nomi. La «volpe» Franco Marini, se riuscirà a convincere tutti che la segreteria Bersani è un’invenzione sua (e di D’Alema). Oppure la «pasionaria» Rosy Bindi, che vorrebbe ripiantare da lì il nuovo Ulivo (altro forte valore simbolico). Oppure la sempiterna Anna Finocchiaro, nel caso che ci si voglia suicidare a Palazzo Madama.
Una situazione, come si intuisce, di grande dinamicità. Che cresce di ora in ora. Il motivo è semplice: i gruppi di Camera e Senato in origine erano degli elenchi di «nominati» da Veltroni. Nei due gruppi, tanto per tagliare con l’accetta, le componenti potevano essere suddivise in questo modo: oltre il 60 per cento veltroniani (al loro interno, suddivisi in almeno quattro «confessioni»), un 25-30 per cento di resistenti dalemiani (tra i quali Bersani), il dieci di prodiani (anche qui, almeno tre i riti prevalenti).
La caduta di Veltroni ha sparigliato non poco. La maggioranza dorotea s’è trasferita con il potere, in questo caso interpretato coraggiosamente da Franceschini. Veltronianamente tutti con Dario, ma anche con se stessi.

Al momento delle primarie, la sarabanda ha potuto avere inizio: se Fassino ha «tradito» Bersani, Fioroni ha mollato Franceschini alle prime viste della batosta; la Madia e Colaninno Veltroni e Minniti D’Alema. E i prodiani - come aquile bipenne - si sono spaccati giusto a metà, a guardare un po’ di qua e un po’ di là.

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