"Scene da un matrimonio" e "Sarabanda": Bergman e il suo sequel

Grande trionfo del teatro della coppia con gli spettacoli da oggi al Parenti e poi allo Strehler

"Scene da un matrimonio" e "Sarabanda": Bergman e il suo sequel
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Il nuovo anno teatrale si apre all'insegna di Ingmar Bergman, con due debutti, uno al Franco Parenti, da oggi al 26 gennaio, con «Scene da un matrimonio», regia di Raphael Tobia Vogel, con Fausto Cobra e Sara Lazzaro (nella foto), il secondo, allo Strehler, dal 18 al 23 Febbraio, con «Sarabanda», regia di Roberto Andò, che racconta, in una specie di sequel, cosa accade ai protagonisti di «Scene di un matrimonio» trent'anni dopo, una occasione ghiotta per conoscere il mistero dell'amore e dell'odio che attraversa certi nuclei familiari. Raphael Tobia Vogel ha aggiunto una scena nella quale immagina che una giornalista intervisti Giovanni e Marianna utilizzando l'Ipad. La commedia ha inizio dal secondo quadro, con la battuta: «Dormito bene?», e si conclude, con: «Buona notte amore mio», nell'ultimo quadro. Ma cosa è successo, nel frattempo? È successo tutto quello che caratterizza la storia di una coppia moderna, un po' liquida, che ha smarrito la capacità di collegare i valori dei sentimenti con quelli del sesso, valori che si logorano durante gli anni dello stare insieme, ma che esplodono quando sono sottoposti a continue menzogne, che sembrano vere strategie di guerra, perché, in fondo, i protagonisti, hanno paura di amare. Questa paura, che affligge i giovani del terzo millennio, è dovuta al fatto che il patrimonio affettivo si è esaurito, dato che l'amore è diventato un contenitore dove si può trovare di tutto, col rischio di trasformarsi in un vaso di Pandora, dal quale possono sprigionarsi disordini emotivi, violenze, crudeltà, perversioni, essendo, in molti, diventati «analfabeti dell'amore». Giovanni e Marianna hanno due figlie, delle quali, in scena, non si avverte l'incombenza, anche perché il padre vive una sorta di regressione infantile, una specie di malattia che, nella psicologia sociale, viene etichettata con la formula «una società senza padri», ovvero senza quella coscienza critica propria dei genitori, se non vogliono fare vivere i figli nell'incertezza affettiva.

Raphael Tobia Vogel si è assunto un arduo compito, avendo deciso di perlustrare simili rapporti, «spogliando» i due protagonisti, cercandone tutti i gradi di intimità ed emotività, facendo esplodere i loro tabù, distinguendo tra sesso e amore, segnandone i confini, evitando manipolazioni, immergendo la coppia in un doppio spazio, tra salotto e camera da letto, avendo, il regista chiesto, a Nicolas Bovey, una scatola scenica, dal soffitto basso, che sembrasse una gabbia che man mano si dilata, con le pareti che diventano trasparenti, come a far sperare se non in un lieto fine, in qualcosa che gli somigli.

Il regista, pur ritenendo necessario partire dal testo, ha virato la sua attenzione verso un accurato uso dello spazio, utilizzando

il tempo come un metronomo, scandendo le varie scene, col ricorso alle dissolvenze cinematografiche, come se il pubblico fosse invitato a vedere «il teatro della coppia» al centro del palcoscenico con i drammi familiari.

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