Lo sci alpino va a rotoli ma Coppi e Roda resistono

Maria Rosa Quario

da Sestriere

La via crucis di Rocca fra un’intervista e l’altra è durata un’ora e mezza, quella della federazione durerà un po’ di più, anche se in realtà le cose da dire sembrano davvero poche. È andata male, anzi è andata buca, quella della 36ª porta in cui si è infranto il sogno della medaglia salvatrice. Ancora una volta il confine fra trionfo e disastro è una linea sottilissima, legata al caso. Ma diciamo la verità: cosa sarebbe cambiato con la medaglia di Giorgio? Nulla. Blardone sarebbe rimasto il gigantista di talento un po’ debole di testa, Ghedina un fenomeno un po’ lunatico e purtroppo un po’ in là con gli anni, Fill un aspirante campione con ancora tanta strada da fare, Lucia Recchia una bravissima atleta che ha bisogno di piste e nevi particolari per rendere al meglio, Elena e Nadia Fanchini due giovani che tutti ci invidiano che però hanno ancora tanto da imparare, e avanti elencando.
Cosa e dove si è sbagliato? Sulla carta nulla, almeno a sentire Flavio Roda, dalla scorsa primavera dt unico: «In questa Olimpiade nulla è andato per il verso giusto, ma sono convinto che tutto era stato impostato nel modo giusto. Non abbiamo trascurato i particolari. Abbiamo avuto anche un po’ di sfortuna, avete visto com’è uscito Giorgio, lui era l’atleta su cui puntavamo di più, gli altri erano di buon livello ma non davano certezze come lui. Le prime gare ci hanno messo in difficoltà, fosse arrivato subito un risultato sarebbe cambiato tutto, ma non ci sono scusanti. È andata male, molto male. Spiace soprattutto per i ragazzi che comunque si sono impegnati e anche per la federazione, che ha fatto di tutto per portarci qua con la giusta preparazione».
Nessuno ha colpa, nessuno ha sbagliato, è stato tutto un caso. Ipotesi accettabile, forse, del resto non possono esserci controprove, anche se arrivano critiche feroci come quella di Mario Cotelli, ex ct della valanga azzurra: «La caduta di Rocca èp figlia di una federazione allo sfacio e di una squadra che non c’è. Questo è un settore che va rifondato». Di sicuro è vero quello che ha detto Rocca e cioè che la sconfitta viene vissuta in modo molto più drammatico dall’esterno che dall’interno. L’ultima Olimpiade in cui l’Italia dello sci alpino rimase a secco di medaglie fu quella di Lake Placid, 1980, io c’ero e fui anzi la migliore della compagnia, con un quarto posto in slalom. Attorno a me, che a 18 anni ero più che felice del risultato, vedevo volti cupi, giornalisti depressi, dirigenti imbarazzati. Ma chi fa sport sa bene che in gara si vince e si perde, che a prendere le medaglie sono sempre e solo in tre, che a fine Olimpiadi gli scontenti superano di gran lunga i felici.
«È evidente che peggio di così non poteva andare - ha dichiarato Gaetano Coppi, presidente della federsci -, ma poiché sono convinto che il lavoro di preparazione sia stato fatto nel migliore dei modi, e i risultati in coppa del mondo lo confermano, posso dirvi che Flavio Roda ha la mia totale fiducia e resterà dunque al posto di comando dello sci azzurro. Per quanto mi riguarda, non ho intenzione di dimettermi e anzi resterò al mio posto fino ai Giochi di Vancouver 2010».
Qualche consiglio, allora. Ok l’idea di dare spazio ai giovani più promettenti, qualcuno teme di bruciarli troppo presto, ma se uno si brucia vuol dire che non era fatto per stare sulla graticola.

Ok anche all’idea di promuovere la polivalenza, ma non dimentichiamo che è molto più importante farsi strada in una specialità e provare a vincere in quella piuttosto che vivere da piazzati in quattro discipline. I fenomeni polivalenti si contano sulle dita di una mano, gli stessi Raich e Miller sono diventati polivalenti in età matura, prima hanno imparato a vincere dove erano più forti.

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