
È in circolazione un'incisione di grande potenza. Enunci il titolo, e l'italico orgoglio s'accende: musiche di Britten e Shostakovich su testi di Michelangelo. L'operazione fa capo alla casa discografia Brilliant Classics che ha riunito nello stesso cd, curato da Luca Ricci, i 18 Sonetti di Michelangelo Buonarroti tradotti in musica da Benjamin Britten e da Dmitrij Shostakovich. Poesie per musica interpretate dal tenore inglese Mark Milhofer e dal basso Mirco Palazzi a dialogo con il pianoforte di Marco Scolastra.
Non è il Michelangelo studiato sui banchi di scuola, ma l'artista - meno frequentato - della parola, energica e appassionata, che affida alla poesia «inquietudini, rabbie personali e professionali, prediligendo una lingua irta, più vicina al lessico di Dante Alighieri che a quello di Francesco Petrarca, poeti che ha conosciuto frequentando la cerchia degli umanisti alla corte di Lorenzo de' Medici», spiega Sandro Cappelletto che del progetto discografico ha seguito l'aspetto musicologico.
Britten aveva vent'anni quando compose i Seven Sonnets of Michelangelo op. 22, una carriera al decollo e l'ardore di gioventù, quella dei tempi andati, dunque primigenia, senza i fardelli e le fragilità della Gen Z. Sono Lieder luminosi e vibranti, tenuti a battesimo nel 1942 alla Wigmore Hall di Londra. Ed è proprio ascoltandoli in un'esecuzione moscovita degli anni Sessanta che Shostakovich decise di avvicinarsi a Michelangelo; così nacque la Suite su versi di Michelangelo Buonarroti op. 145 per basso e pianoforte, frutto plumbeo e sofferto di un uomo vessato dal regime oltre cortina e a un anno (correva il 1974) dalla morte.
Di là, Britten, salpato per gli Stati Uniti e dunque al riparo dalle vicissitudini del secondo conflitto mondiale, s'aggiunga che prendeva forma la carriera ma anche il grande amore per Peter Pears, di qui la scelta dei Sonetti dedicati all'amore, nelle sue diverse gamme: dolcezza, sofferenza, passione, gioia, conquista e perdita. Di qua, Shostakovich, che fra le trecento liriche di Michelangelo scelse le più impetuose e disperate. L'attenzione del musicista sovietico venne catturata dalle poesie sull'esilio di Dante, al quale «le porte che l ciel non gli contese/ la patria chiuse al suo giusto desire». Venne poi attratto dai versi in cui Michelangelo lamenta gli abusi di potere di papa Giulio II, la corruzione del clero e le angherie - mobbing? - del collega Bramante.
L'idea di incidere le due serie di Lieder, spiega il pianista Scolastra, è maturata dopo un concerto ai Musei Vaticani dove, sempre con Mirco Palazzi, aveva proposto la Suite di Shostakovich. «Il pubblico era conquistato dal programma, da questi pezzi così poco frequentati eppure scaturiti dall'incontro di un genio della musica ed un genio assoluto». Intriga vedere come due pesi massimi della composizione del secolo scorso, l'uno inglese e l'altro russo, siano stati affascinati dalla parola di Michelangelo, che Britten poté assaporare fino in fondo conoscendo l'italiano, mentre Shostakovich dovette affidarsi a una traduzione in russo, e quella mise in musica. Tuttavia l'incisione della Brilliant Classics riporta le liriche all'originale di Michelangelo.
Britten coglie l'aspetto più carezzevole dell'italiano, quello cantante, vocalico e sinuoso, del dolce sì. Shostakovich, invece, è impressionato dai versi più duri e spigolosi, quelli di un primo colpo di scalpello, poi li intride di rabbia e di dolore. Ma a sorpresa, chiude la Suite con un sonetto dalle sonorità terse e trasparenti.
Voleva lasciarsi alle spalle tanto inferno? Un bagliore di luce dopo la cupezza di una vita da esiliato forzato.E la mente va all'esilio coatto o indotto di tanti musicisti russi d'oggi che forse andrebbero dritti agli ultimi canti dell'Inferno dantesco, dopo averci mandato qualcuno.
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