Berlusconi ancora sotto processo a Milano, questa volta per concussione e per prostituzione minorile, cioè di aver avuto rapporti sessuali a pagamento con una minorenne. Nessuna meraviglia, perché a suo carico pare ne fossero rimasti soltanto tre e, per giunta, tutti o quasi prossimi alla prescrizione. Ora, bisogna invece interrogarsi, al di là del fatto che nulla di ciò desta meraviglia, sulle motivazioni che sostengono tali accuse.
Innanzitutto, appare singolare che un capo di governo consumi addirittura il reato di concussione e di prostituzione minorile con tale disinvoltura da coinvolgere spensieratamente diversi funzionari di polizia, un questore, alcuni agenti e decine di testimoni oculari o «de relato». Come minimo, ci sarebbe da dubitare della sanità mentale di un politico conosciuto a livello internazionale che - come fosse uno sconosciuto qualunque - si mette a concutere pubblici funzionari di polizia o simili. Il tutto, naturalmente, per una ragazzina non ancora maggiorenne che, pur prosperosa, nulla sembra avere in più o in meglio di tante altre che gironzolano attorno alle stanze del potere.
Sembra proprio, insomma, che questa nuova imputazione suoni più come un’offesa alla semplice intelligenza del capo del governo che come una insinuazione alla sua moralità pubblica e privata. Naturalmente molte domande rimangono sul tappeto, in attesa di risposte che si teme - come accade di solito - rimarranno senza risposta. Se i fatti sono accaduti in territorio di Arcore, essendo tale cittadina compresa nel circondario del tribunale di Monza, il tribunale competente per territorio dovrebbe essere proprio quello monzese e non quello di Milano: ci si chiede perciò a quale titolo il tribunale milanese abbia preso in mano la faccenda a scapito dell’altro.
In secondo luogo, dal momento che le accuse poggiano anche - o almeno così sembra - su numerose intercettazioni telefoniche, resta da chiarire di ciascuna di esse la legittimità dal punto di vista, non indifferente, della correttezza processuale: non è accettabile che i telefoni di chicchessia siano posti sotto controllo, figurarsi quelli in uso da uffici del governo, il cui capo dovrebbe invece essere altrimenti garantito, se non altro per pure e semplici ragioni di sicurezza.
Ancora. Se non sbaglio Berlusconi è, prima che capo del governo, deputato della Repubblica e perciò dovrebbe godere - come qualunque parlamentare - della proposizione da parte della Procura procedente della richiesta ritualmente avanzata alla Camera di appartenenza per poter attivare l’azione penale: in questo caso, non pare sia stata avanzata richiesta alcuna di autorizzazione a procedere alla Camera dei deputati e ci si chiede quali possano essere i motivi di tale disinvoltura.
Infine, se si tratta - come pare - di reati commessi attraverso l’uso dei poteri derivanti dalla carica governativa, sarebbe competente il Tribunale dei ministri, vale a dire l’organo che le legge esclusivamente designa a giudicare fatti commessi da esponenti del governo usando dei poteri connessi a tale incarico: ma anche qui, ciò non è accaduto e si vorrebbe capire per quale motivo.
Insomma, ci sono parecchi, troppi lati poco chiari in questa vicenda che interpellano la coscienza del giurista, ma anche quella di ciascun cittadino. È infatti interesse di tutti e di ciascuno che le regole vigenti vengano rispettate, soprattutto da coloro su cui grava l’onere di farle rispettare a tutti gli altri, compresi i magistrati.
Se invece, per motivazioni che oggi non appaiono visibili, le domande sopra poste avessero una plausibile risposta, sarebbe bene renderla di pubblico dominio, in modo da tranquillizzare la pubblica opinione. Una volta infatti che la notizia dell’indagine diventa pubblica (e anche questo non è normale che avvenga), tanto vale spiegarne anche i risvolti poco chiari: tanto ormai il segreto istruttorio è stato azzerato.
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