Nello sforzo di legittimare la sua alleanza di governo con i grillini, il leader leghista Matteo Salvini non soltanto ha giudicato superata la divisione tra destra e sinistra (come già aveva fatto Umberto Bossi trent'anni fa), ma ha pure sostenuto che la vera lotta politica opporrebbe il popolo e le élite. Mentre per anni siamo stati governati da un establishment sganciato dalla gente comune, adesso sarebbe venuto il momento di quanti (Lega e M5s, in particolare) interpretano le attese dell'uomo della strada.
Questa analisi lascia il tempo che trova, poiché - come già insegnava Gaetano Mosca a fine Ottocento - ogni sistema politico è sempre dominato da un piccolo gruppo organizzato, il quale s'impone su una maggioranza disorganizzata. In tal senso, molte delle critiche che leghisti e pentastellati indirizzano alle oligarchie di Roma e Bruxelles sono corrette, ma possono facilmente essere rispedite al mittente. Le ultime settimane sono una riprova di tutto questo, se si considera che il partito guidato da Luigi Di Maio e da Davide Casaleggio - dopo avere ricevuto milioni di suffragi su un programma che esprimeva dure critiche verso l'Unione europea - ha radicalmente modificato la propria linea politica. E lo stesso vale per la Lega, che è nata per realizzare il federalismo (nel primo articolo dello Statuto ancora si parla dell'indipendenza della Padania quale obiettivo fondamentale) e nonostante ciò ora è disposta a riporre nel cassetto quei propositi.
Nessuno può negare l'esistenza di un'élite che, grazie al controllo dei poteri dello Stato, opprime una larga parte della popolazione: con tasse e regole di ogni tipo. L'alternativa, però, non consiste nel mettere nuovi padroni al posto dei vecchi, altri professionisti della politica che si autorappresentano «populisti» al posto dei logori tecnocrati che li hanno preceduti. La vera sfida consiste nel ridurre le spese e le imposte, ridimensionare la presenza dello Stato nella società, proteggere la proprietà, restituire dignità al diritto e ai diritti.
In passato, il movimento leghista ha saputo individuare temi davvero importanti. Questo spiega l'enorme successo che ha conosciuto quando ha proposto di restituire libertà di governo alle regioni del Nord. Avvicinatosi, però, alle stanze del potere l'élite del movimento leghista non pare più tanto motivata in quel senso: com'è attestato dal fatto che, al tavolo di lavoro in cui si è redatto il «contratto», di tutto si è parlato, ma non certo di federalismo e autodeterminazione.
Sono insomma passati solo pochi giorni dal momento in cui Salvini e Di Maio hanno abbandonato il loro ruolo di oppositori e contestatori, assumendo quello di novelli signori della scena politica italiana.
E in questo breve lasso di tempo già ci hanno fatto capire che del mandato popolare a loro non sembra interessare molto. Esattamente come succedeva quando a governare era quell'establishment che essi dicono di odiare tanto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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