Il vecchio Karl Marx sosteneva che i capitalisti erano disposti a produrre persino il cappio con cui sarebbero stati impiccati.
Il paragone è truce, ma il paradosso del filosofo tedesco (oggi un po’ passato di moda) sembra essersi materializzato a Bologna. La Gd, azienda aderente alla Confindustria, leader mondiale nel settore delle macchine automatiche, gioiello dell’industria manifatturiera sotto le Due Torri, si è arresa alla Fiom.
Ovviamente, se interpellato, il management della Gd farebbe valere lo stato di necessità, le esigenze di carattere produttivo, in un momento in cui le aziende che hanno ancora la fortuna di ricevere ordini non possono permettersi di non darvi esecuzione nei tempi stabiliti. In quell’unità produttiva, infatti, i dirigenti della Fiom bolognese avrebbero sostenuto con azioni di lotta (e quindi creando disfunzioni e problemi) le loro discutibili istanze di potere. Non si tratta di altro.
Così, la Gd ha accettato di sottoscrivere un accordo in cui si impegna a tenere in considerazione soltanto le piattaforme rivendicative che, prima ancora di iniziare la trattativa, avranno ottenuto la maggioranza dei consensi in un referendum preliminare. Il che comporterà una conseguenza ben precisa: essendo in quella fabbrica non solo maggioritaria, ma addirittura egemone, la Fiom, sarà questa organizzazione a dettare la linea.
Una situazione siffatta è assolutamente contraria a quanto stabilito nell’accordo interconfederale del 28 giugno, poi ribadito il 21 settembre del 2011, in tema di regole della rappresentanza.
Pare che Raffaele Bonanni (Cisl)e Luigi Angeletti (Uil) si siano affrettati a far notare ad Emma Marcegaglia la singolare linea di condotta di un’azienda associata, ricevendo in risposta un accorato «non possumus». Poi, qualcuno si meraviglia se il Lingotto abbandona la Confindustria!
Negli ambienti della Cgil si fa notare che il caso Gd, in fondo, è una sorta di reazione al comportamento delle altre federazioni metalmeccaniche in occasione della vertenza Fiat. In verità, la situazione è diversa: Marchionne non ha mai operato delle discriminazioni a priori; si è sempre confrontato – lo farà anche martedì - con tutte le organizzazioni, anche quando, a fine negoziato, non è stato possibile raggiungere un accordo complessivo.
È certamente una grave violazione del principio costituzionale di libertà sindacale discriminare in partenza, a livello aziendale, delle controparti, firmatarie del contratto nazionale.
Insomma, c’è materia per denunciare la Gd di comportamento antisindacale. E per dare ragione, sul piano politico, all’ad del Lingotto.di Giuliano Cazzola, deputato e presidente della Consulta Lavoro PdL
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