di Anton Francesco Albertoni*
È appena calato il sipario sul Miami International Boat Show, una delle più importanti rassegne mondiali dedicate alla nautica, a cui Ucina ha partecipato con un proprio spazio espositivo che ha ospitato alcune aziende associate. Stando ai i dati diffusi dall’Nmma (National Marine Manufacturers Association), l’industria nautica Usa è in crescita. Lo scorso anno la ripresa era iniziata dai fuoribordo, quest’anno ho potuto registrare segnali positivi anche nei cabinati fino a 18 metri. Discorso diverso per i superyacht, al momento appannaggio quasi esclusivo di armatori sudamericani, prevalentemente in arrivo dal Brasile e dal Messico. E sono segnali confortanti, soprattutto perché il mercato americano rappresenta il terzo sbocco commerciale per la nautica italiana. D’altronde, stando al «Global Order Book», la classifica pubblicata annualmente dalla prestigiosa rivista ShowBoats International, sono italiane le aziende al vertice dei primi 20 costruttori del mondo. Nell’ordine: Azimut-Benetti, il gruppo Ferretti e Sanlorenzo.
A Miami, dunque, aria positiva e segnali incoraggianti, cosa che avrà certamente avuto modo di riscontrare anche Sara Armella (presidente di Fiera di Genova, che con Ucina organizza il Nautico), venuta a studiare di persona logiche e dinamiche di un’altra importante rassegna nautica. Tuttavia, ciò che mi ha colpito di più nel corso del mio soggiorno a Miami è stata la constatazione di quanto sia diversa la cultura nautica americana rispetto a ciò che si percepisce nel nostro Paese: mentre da noi chi possiede una barca è perlopiù individuato come un soggetto che intende ostentare il suo status, per un americano medio andare in pensione con le risorse necessarie per comprarsi casa, posto barca e barchetta in Florida rappresenta il sogno più diffuso.
A pensarci bene l’Italia potrebbe essere per l’Europa quello che la Florida rappresenta per gli Stati Uniti. Anzi, a mio avviso, molto di più. Se confrontiamo i due Stati, infatti, l’Italia esce vincente per quanto riguarda i chilometri di costa disponibili per il diporto (8mila contro i 2.100 della Florida). Eppure il parco nautico di barche registrate in Florida supera di gran lunga quello delle barche registrate in Italia (circa 949mila contro le nostre 101.538). E ancora: la barca in Florida la tieni davanti a casa, in giardino, proprio come una bicicletta o un’automobile. Senza contare che laggiù la multiproprietà della barchetta e i rimessaggi a secco per abbattere i costi, sono molto diffusi. Come dire: io la uso per andare a fare il bagno, tu per pescare. E qui da noi? A noi si chiede di cambiare abitudini, cultura, modi di vivere, passioni... Senza sapere, o volere, individuare le priorità.
In Italia il turismo non è considerato un settore in cui investire seriamente attraverso una politica centrale di sviluppo. Nessuno vuole capire che sarebbe il modo più semplice per attirare capitali stranieri. E pensare che lo hanno capito anche i cinesi, molto indaffarati con saloni nautici e porti turistici.
Non è difficile dedurre che se in Italia si volesse davvero sviluppare il turismo nautico con maggiori risorse, il Paese sarebbe in grado di attirare milioni di turisti dal resto d’Europa (soprattutto da Nord) con un significativo profitto che ricadrebbe su tutti i territori costieri.*Presidente Ucina-Confindustria Nautica
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