In Italia la figura del Garante per la privacy suscita tenerezza. Per trovare un lavoro associato a un’impresa altrettanto disperata dovremmo inventare il «repressore degli insulti nelle curve degli stadi» o il «garante dell’illibatezza prematrimoniale». Con tutta la comprensione del caso, ogni tanto si assiste a qualche rassegnata esternazione. Ieri il pur competente Francesco Pizzetti ha per l’ennesima volta dovuto allargare le braccia arrendendosi «all’emergenza» e ratificando così l’assoluta anomalia dell’invasività senza eguali in Europa dei controlli totali sui conti correnti.
Parlando a un seminario organizzato per trattare di un altro tema sensibile per la privacy, le intercettazioni telefoniche (ormai passate di moda), il Garante ha finalmente sollevato lo scomodo argomento dell’incredibile facilità con cui si è consegnato allo Stato il controllo sul nostro comportamento, consentendo all’Agenzia delle entrate di avere libero accesso ai dati su quanto e dove spendiamo, in pratica alla nostra vita.
Pochi giorni fa lo stesso Pizzetti aveva fatto il parallelo ardito fra la lotta all’evasione e quella al terrorismo giustificando in quel modo la perdita di libertà, ieri invece si è sentita una nota diversa, auspicando la temporaneità della situazione e attendendosi che una volta «conclusa con successo l’operazione si torni a forme di controllo più accettabili».
Campa cavallo. Mai successo che una volta allargatosi nella sua invasività di controllo lo Stato si sia poi ritirato in buon ordine. Mai. In questo caso poi l’alibi è perfetto: abbiamo il cattivo evasore, già indicato da sobri spot tv dopo il «parassita del cane», il ricco crapulone che gozzoviglia a Cortina mentre il popolo tira la cinghia e la forca è servita. Il fatto poi che buona parte di quelli che sibilano contro gli evasori siano quegli stessi che, quando tre anni fa finirono sul web gli elenchi dei redditi, sfoggiavano numeri vicini allo zero è secondario.
«Bagattelle, i grandi evasori sono altri e tanto io vado a St. Moritz, mica a Cortina, lì si sta tranquilli».
Se ogni volta che si provava a sollevare il problema delle intercettazioni si levava il fuoco di sbarramento del forcaiolo con lo slogan «chi combatte le intercettazioni è a favore dei criminali» (e tutte le forze politiche si sono fatte intimorire da questa baggianata) figuriamoci cosa accadrà a chi proporrà di riportare alla normalità il potere ispettivo dell’Agenzia delle entrate. Eppure c’è di che preoccuparsi, e molto.
Infatti il problema del regalare la nostra privacy agli altri emerge proprio per chi, paradossalmente, non ha nulla da nascondere. In questo clima degno di Savonarola in trasferta a Berlino Est, dove vengono viste con sospetto e invidia anche le piccole ricchezze quali una bella macchina o una vacanza esotica, anche se assolutamente «regolari», il passo al processo di piazza per questioni esclusivamente legate alla «sobrietà» è brevissimo. Un conto in banca trasparente (a quante persone? Con quali modalità? A tutti gli impiegati dell’Agenzia delle entrate? A tutti i finanzieri? A tutti e basta così facciamo prima?) poco danno arreca a chi era già abituato a vivere nell’illegalità, mentre si presta ottimamente all’indice del moralismo.
Se già i palazzi di giustizia sono dei colabrodo, figurarsi gli uffici del Fisco. Prepariamoci a tonnellate di carte «riservate» che arriveranno sui giornali dove si potrà vedere che Tizio ha regalato il diamante all’amante, che Caio ha speso tot per farsi il bidet di cristallo rosa e che Sempronio spende tot altro solo per il pieno alla barca. Magari pagavano tutti il dovuto...
E allora? È una vergogna, più tasse più tasse! Quello che si è visto finora con le intercettazioni non penalmente rilevanti è stato uno scherzo. Il fango è appena iniziato e l’addio alla nostra libertà è ormai senza fine.Twitter: @borghi_claudio
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