Se Silvio farà il Silvio l’Italia potrà rialzarsi

Chissà che non si sia stufato, il Cav. In caso contrario, vedremo che succede nel prossimo Consiglio dei ministri. Niente Romani o Tremonti, con tutto il dovuto rispetto. Quel che manca ormai da troppo tempo è Berlusconi. È quello il signore che è stato votato da una maggioranza politica per fare le cose ritenute giuste. E le democrazie funzionano così: si elegge un governo e il governo, sotto la responsabilità del suo capo, cerca di fare quel che ha detto di voler fare, la ragione per cui ha vinto le elezioni. Se non gli riesca, saranno gli elettori a decidere di questa semplice alternativa nel giudizio sovrano: glielo hanno impedito, magari in modo fraudolento, e bisogna sostenerlo; oppure non ha saputo decidere e realizzare quel che poteva decidere e realizzare, proviamo con un altro.
Vorrei essere ancora più preciso, se possibile. I giovani o una parte dei giovani, ha ragione Mario Draghi, soffrono della malattia dell’immobilismo sociale. Manca mobilità, c’è il doppio del lavoro che è possibile trovare in Spagna, più o meno quello che c’è in Francia e in Inghilterra, ma la ricchezza sociale e la dinamica sociale sono ancora troppo asfittiche per evitare la precarietà di una generazione. C’è sfiducia. Il Mezzogiorno se ne sta lì, con qualche caso di eccellenza, e per il resto vita grama a spese dello Stato, e molta economia in nero ed evasione contributiva e fiscale, lavoro sottopagato lì dove per tante ragioni storiche sono in pochi a mettere quattrini e a cercare di innestare il capitalismo moderno produttivamente. Poi c’è qualche pigrizia atavica, perché a fare il panettiere regolare in Abruzzo, e mancano cento posizioni, si possono guadagnare, con le marchette, 3000 euro al mese, che a Pesco Costanzo sono una cifra possibile per vivere. Si investe poco, anche nella ricerca, anche nel nord, che è opulento e terra di immigrazione da tutto il mondo, un luogo dove i leghisti amministratori accolgono e integrano senza la retorica di don Colmegna, più utilmente di lui (vedi il caso di Treviso).
Non me ne importa niente del condono, e delle puttanate moraleggianti che se ne scrivono. Il problema è uno solo, alla luce di quel che ho detto prima (si è stufato? non si è stufato? bisogna votare?). Berlusconi non deve firmare alcun decreto-sviluppo che non contenga Berlusconi. Ci deve essere scritto Berlusconi in ogni singola riga, deve essere «la più grande frustata al cavallo dell’economia che la storia italiana ricordi», dopoguerra a parte. È la formula usata da Berlusconi nel suo discorso alle Camere di presentazione del programma di governo, è il suo mandato, è quanto ha scritto al Corriere della sera nello scorso mese di gennaio, per poi essere subito accerchiato dai disfattisti e catastrofisti e declinisti e fiscalisti della patrimoniale.
L’Italia, che ha un debito sostenibile, un grande e disciplinato avanzo primario (la differenza positiva tra quel che spendiamo e quel che incameriamo al netto degli interessi); l’Italia che ha la grandissima riserva del sud e delle riforme di struttura e delle liberalizzazioni per fare emergere un quarto del Pil in nero e per instaurare di brutto regole di concorrenza libertà e fiducia che solleveranno rabbia corporativa (per questo ci sono le battaglie culturali, le contromobilitazioni, e se del caso polizia e carabinieri): questa Italia qui, che è quella vera, non quella che vediamo nei talk show addomesticati dalle balle decliniste sempre ricorrenti quando si tratti di abbattere il governo eletto, se non piaccia, questa Italia non è sofferente perché c’è Berlusconi al governo, ma per la ragione contraria. Berlusconi è stato espropriato dal porno giornalismo e dalla porno giustizia della sua effettiva capacità di governo: o cede ai suoi nemici, e ci lascia tutti in braghe di tela, oppure contrattacca e restituisce alla democrazia italiana il suo senso, facendo quel che oggi soltanto un tipaccio come lui è in grado di fare. La frustata, appunto.
Il Berlusconi degli ultimi due anni e mezzo, a partire dalla convergente crisi pornografica e finanziaria del mondo e dell’Italia dei peggiori, i suoi arcinemici per la gola, è lamentoso e insicuro. Ha incorporato le idee strambe e il malocchio profuso da quelli che parlano a nome dei mercati e dei tassi di interesse per farci i soldi con il pessimismo. Lui è esattamente il contrario. Si cresce con l’ottimismo. È la sua maggiore lezione. Ora basta.

Le ricette si conoscono, si sa che saranno aspramente combattute, anche dentro il Consiglio dei ministri, ma non hanno alternativa. Faccia, faccia sapere che ci prova con chiarezza, si batta con le unghie e con i denti, senza badare ad alleati e amici frenanti, decida o se ne vada.

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