«Se sono di peso vado». «No, devi essere d’esempio»

Francesco Totti non è un caso. O forse lo è. Questione di punti di vista. Il capitano apre bocca e anche il più leggero dei venticelli solleva un polverone. È la filosofia dell’«un colpo al cerchio e uno alla botte» che sta lentamente logorando i giallorossi. Francesco si dice a completa disposizione dell’allenatore, poi aggiunge di essere pronto persino a lasciare i giallorossi pur di non diventare un peso per la società. Totti esce allo scoperto per esortare i suoi compagni e rassicurare i tifosi, Rosella Sensi risponde con il silenzio stampo e con la cultura del «silenzio e lavoro».
È il giorno in cui l’ottavo re di Roma inizia a sentire vacillare il regno sorto ai suoi piedi. Ancora a secco dall’inizio della stagione, la sua presenza in campo non è più l’ago della bilancia della sua Roma e anche tra i tifosi inizia a serpeggiare qualche malumore di troppo. «Da capitano, ribadisco di non voler essere il problema della squadra - ha scritto ieri Totti nella sua rubrica sul Corriere dello Sport - Se chiunque abbia il potere decisionale in questa società ritiene che io sia diventato un problema di questa squadra, ha il dovere di dirmelo, affinché io possa prendere le mie decisioni. Non voglio essere un peso per nessuno».
Ciò che più sembra infastidire il numero dieci della Roma è sentirsi dire di voler comandare, di voler avere più voce in capitolo rispetto a quella che andrebbe concessa al capitano di una squadra, quasi a voler influenzare le scelte del tecnico e della società. «Sento dire che alla Roma comanda Totti. Ma comandare significa chiamare giocatori importanti per convincerli a giocare nella Roma e aumentare il tasso tecnico? - si chiede Totti - Oppure comandare significa difendere un compagno in difficoltà, come ho fatto con Doni? Oppure difendere i nostri tifosi? Questo significa comandare? No, mi sono solo comportato da capitano e probabilmente qualche volta sono dovuto intervenire per difendere la Roma perché altri non lo hanno fatto forse per non esporsi perché sono vittime di compromessi e sono già pronti a ricollocarsi in futuri assetti societari».
La lettera si conclude però con un auspicio: «Sono sicuro che troveremo insieme, come abbiamo già fatto in passato, la soluzione migliore per uscire dalla crisi. Non mi permetterei mai - conclude il capitano - di pormi in una situazione di privilegio rispetto agli altri giocatori della Roma». Pensiero ribadito anche ieri: «Non firmo per un terzo posto, sulla Roma ci punto sempre, anche quando le cose non vanno bene. Sono un po’ giù, ma vado avanti. Ranieri non è sereno? Non è vero, è sereno anche lui».
Tutto risolto? Non proprio. Perché se le parole di Totti volevano essere un anestetico per le polemiche che bruciano dalle parti di Trigoria, l’effetto voluto è stato l’esatto contrario. «Non mi piace leggere che Totti possa anche solo pensare di essere un problema. La verità è che il calcio parlato condiziona il lavoro e noi dobbiamo imparare nel professionismo più qualificato del mondo a saper convivere con tensioni, umori e provocazioni, come con il successo e l’entusiasmo», la lettera con cui Rosella Sensi ha voluto rispondere al capitano. «A Totti dico solo che lui è un simbolo della Roma.

Credo che nei momenti di grande difficoltà, soprattutto nello sport, il lavoro rappresenti la migliore medicina. La Roma in questi giorni deve sposare solo due concetti: silenzio e fatica».
Capito Francé? Zitto e pedala.

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