Vedere il Mondo dall'altro lato della Geopolitica. Cioè dalla Cina in ascesa. Fare calcoli strategici partendo da principi e radici diverse da quelle utilizzate da generali e ministri occidentali, tutti un po' figli di Machiavelli e Clausewitz. Guardare il dispiegarsi delle linee di faglia del conflitto di civiltà non con la logica del giocatore di scacchi, ma con quella, molto più avvolgente, del giocatore di Go.
È questa l'opportunità che fornisce al lettore il nuovo saggio appena pubblicato dalla Leg L'arco dell'impero a firma del generale Quiao Liang e con una corposa prefazione del Generale Fabio Mini.
Quiao Liang è diventato uno degli strateghi più noti a livello internazionale grazie ad un suo precedente volume, pubblicato a doppia firma con il colonnello e professore universitario Wang Xiangsui: Guerra senza limiti (in Italia sempre edito dalla Leg). Dato alle stampe nel 1999 questo saggio, scritto cercando di svelare il nuovo «volto del dio della Guerra», ha previsto con terrificante esattezza gli scenari di conflitto asimmetrico che poi si sono puntualmente sviluppati dopo l'11 settembre 2001. Il nuovo lavoro di Quiao Liang raccoglie le sue molte riflessioni sul tema dell'Impero, sull'arco che questo tipo di entità politiche compiono, ed è ancorato all'oggi nel porre, come spiega il sottotitolo, «la Cina e gli Stati Uniti alle estremità» di quest'arco.
Esiste una lunghissima tradizione di esercizio intellettuale sull'Imperium che partendo da Tacito e passando da Toni Negri e Michael Hardt (Impero: il nuovo ordine della globalizzazione) arriva a studiosi, di cui vi abbiamo recentemente parlato anche in queste pagine, come Michael Schuman che legge la storia della Cina come la storia di un Impero interrotto. L'analisi di Liang si discosta nel suo essere centratissima nella geopolitica del presente.
Per il generale, gli Stati Uniti sono stati: «Il primo impero finanziario del mondo e... saranno l'ultimo». E ancora: «Non ci saranno più imperi e nessuna egemonia finanziaria dopo gli Stati Uniti». Primo caso di una nazione che ha governato il mondo senza colonie o protettorati veri e propri ma grazie alla forza della sua moneta, saltuariamente accompagnata dalla forza dei suoi eserciti, gli Usa, sarebbero secondo, Liang il naturale capolinea di ogni percorso imperiale. Di ogni tentativo di dominio monopolare.
E si sarebbero, come ogni impero che si rispetti, sconfitti da soli. Hanno favorito l'avvento di Internet che secondo Liang: «Ha reso il denaro molto elettronico (lo sta demonetizzando) e sta eliminando il denaro fisico attraverso il consumo online e le transazioni a distanza». E questa situazione rischia di creare una grande instabilità in cui è molto difficile preconizzare come cambierà il Mondo. Soprattutto resta da capire come debba comportarsi la Cina nella sua ascesa, visto i pericoli altissimi che la situazione può comportare.
Liang da questo punto di vista non è sicuramente un falco: «In futuro la Cina non dovrebbe costringersi a cercare a tutti i costi l'egemonia monetaria, perché diventerà un modello in declino e superato». E ancora invita la Cina ad una lunga corsa in cui non devono esserci mosse false, sbagliati tentativi di essere eccessivamente egemonici. «Mentre si decide il fato della nostra Nazione, voglio solo ricordare al mio Paese di rimanere lucido. Dopo la resistenza, la lucidità è la qualità più importante di ogni corridore fondista. Non dobbiamo preoccuparci di essere sempre in testa, in questa maratona. Dobbiamo solo pensare a mantenere le energie necessarie per portare l'ultimo attacco. La lucidità, quindi, è un must».
Insomma una Cina che porta avanti una corsa lenta e strategica che miri più che altro ad un nuovo bilanciamento di potenze. La famosa strategia della Via della Seta che per Quiao Liang è una strategia centenaria e di equilibrio. «Non useremo la spada per conquistare ed aprirci la strada... Dobbiamo usare la spada per proteggerci... Combattere a fianco delle forze principali dei vari Paesi per eliminare quelle forze che mettono in pericolo sia la sopravvivenza dei Paesi sia gli interessi della Cina stessa».
In quest'ottica ovviamente la preoccupazione principale della Cina è il fatto che gli Usa intervengano in modo chiaro e preciso a frenare l'espansione di Pechino verso il Pacifico. Proprio il nodo di tensione militare che si sta sviluppando in questo periodo.
Ovviamente la premessa di Liang è quella di attribuire gran parte della responsabilità di questi rischi all'Occidente e agli Usa che si rifiutano di abbandonare un ruolo egemonico. Questo al netto delle critiche che rivolge anche al suo stesso Paese: «Gran parte dei frutti di più di trent'anni di riforma e apertura sono andati nelle truppe dei gruppi di interesse, senza beneficiare la massa». Sono posizioni a cui si può fare largamente la tara perché se gli Usa sono un impero economico/monetario - Nella prefazione Mini li accusa non troppo velatamente di aver impedito all'Europa di crescere come potenza autonoma - c'è chi a Pechino guarda indietro e sogna di tornare a un Celeste impero con un ruolo egemone sul mondo. Così come molti Paesi a partire dal Giappone e dal Vietnam provano sulla loro pelle come l'espansionismo cinese nel Pacifico sia tutt'altro che semplice soft power. Così come il monopolio della rete che la Cina pratica a casa sua per evitare i guai dell'Occidente, visto con la nostra ottica si chiama inaccettabile censura. Non basta il buon governo confuciano a evitare derive autoritarie e questo Liang si guarda dal dirlo. Del resto se ha un senso puntare il dito sulle dinamiche della finanza Usa, non si può nemmeno evitare di vedere le storture del Comunismo di mercato, che genera ricchezza per pochi e libertà per nessuno. Però il testo è paradigmatico perché consente di valutare alcune delle debolezze mostrate dagli Usa negli ultimi anni in un'ottica diversa. E di capire come Pechino sia riuscita ampiamente a sfruttarle o quanto meno a esaminarle con grande lucidità.
La rivendicazione di un nuovo ruolo cinese è nei fatti sia che essa passi attraverso la Nuova Via delle Seta sia attraverso metodi molto più strong come la minaccia a Taiwani. E il rischio e Quiao Liang lo sa bene è che si cada in quella che è conosciuta come trappola di Tucidide. Lo storico greco teorizzò che la devastante guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta fu causata dal timore spartano per la crescente egemonia territoriale ateniese. In questo caso Sparta potrebbero essere gli Usa portati ad una reazione spropositata verso la crescita della Cina.
Quindi Liang ammonisce i suoi: «Il nuovo arrivato non può sfidare direttamente il vecchio impero, ma non può neanche evitare del tutto il conflitto». Ma è ovvio che in questo equilibrismo è facile sbagliare.
Anche perché nel gioco l'ex generale cinese vede giustamente coinvolti altri due giocatori che però mancano di alcune carte: «L'Unione Europea e la Russia sono entrambi giganti a metà, la prima con il potere economico ma non militare, la seconda con il contrario». E volendo si potrebbe anche considerare il convitato di pietra di questa partita: l'India. Un poker complicato che la pandemia ha ulteriormente complicato e che secondo Liang gli Usa non saranno più in grado di gestire da soli, sfruttando il combinato disposto del potere monetario e di quello militare. Ecco perché vediamo salire la tensione nel Pacifico.
E forse sarebbe auspicabile che l'Europa iniziasse a giocare meglio la sua partita prima che altri giocatori, per errore di calcolo, paura o dolo, rovescino il banco stufi di come Washington dà le carte (carte verdi come il dollaro).
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