Seal, «black music» d’autore

Negli ultimi anni il poderoso vocalist londinese, madre brasiliana e padre nigeriano, aveva fatto parlare di sé più per il matrimonio felice con la top model Heidi Klum che per la sua musica. Nemmeno la collaborazione con Stuart Price (il produttore britannico già con Madonna in Confessions on a dance floor) per l'album System, col quale si era riproposto rispolverando ritmiche vivaci e spiccate sonorità dance che lo avevano imposto all'attenzione generale nei primi anni ’90, lo aveva sottratto a quello che appariva con sempre maggiore chiarezza un inevitabile declino. Lo scorso anno, però, l'improvviso colpo d'ala con un disco di cover, Soul, divenuto campione d'incassi: oltre due milioni di copie vendute. Un'enormità in tempi di downloading selvaggio. Di fatto Seal Henry Olusegun Olumide Adeola Samuel, 46 anni, popstar con una laurea in architettura nel cassetto, stasera all'Arena Civica per l'unico concerto italiano a Milano Jazzin' Festival (ore 21), riptoporrà alcuni dei brani più significativi della storia della musica nera: tra gli altri, People get ready, It's a man's man's man's world, I've been loving you too long e A change is gonna come. Ed è proprio con quest'ultima che, complice una portentosa interpretazione vocale, ha fatto centro. Anche perché il testamento poetico di Sam Cooke, scritto nel 1963, poco prima della sua morte, è diventato nel frattempo il brano tormentone che ha accompagnato la scalata alla Casa Bianca di Barack Obama. «È stata la coscienza collettiva che la figura di Obama ha fatto rinascere a suggerirmi l'idea di un intero disco tributo alla musica nera», ha confidato il cantante, che ha inciso l'album in sole tre settimana con una grande orchestra e l'autorevole produzione di David Foster (Barbra Streisand, Céline Dion, Michael Bublé).
Prima italiana assoluta al Festival di Villa Arconati a Castellazzo di Bollate (sempre stasera, ore 21.30, supporter Mocky), invece, per Gonzales, al secolo Jason Charles Beck, eclettico musicista canadese con base a Parigi, dove nel maggio scorso ha suonato oltre 27 ore consecutive proponendo la bellezza di 300 canzoni. Il che gli è valso il primato di concerto solista più lungo di sempre. Roba da Guinness, insomma. Una performance che la dice lunga sull'alto tasso di imprevedibilità del cantante-pianista-elettronicista, noto per le collaborazioni con Feist, Peaches e Jane Birkin, uno degli ultimi, originalissimi, outsider della musica rock (e dintorni) contemporanea.

Già, perché, acclamato dal pubblico e dalla critica, il nostro, in fissa con i musical e la musica pop anni Settanta (come ben si evince dall'ultimo album Soft parade) si ispira al lavoro del compositore-pianista minimalista Erik Satie e lo condisce con una vena di surreale follia.

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