Il giorno dopo vince lincredulità: «Era un bravo ragazzo, così a modo, sempre in giacca e cravatta». E ancora: «Non mi sembra possibile». E pure: «Quando ho visto la sua foto sul giornale sono saltato sulla sedia». Il giorno dopo la cattura cè lo spazio, sacrosanto, per il sollievo. «Quante volte me lo sono trovato di fronte, io e lui soli nel portone, anche a tarda sera. Sono felice che labbiano preso». Il giorno dopo la fine dellincubo fa capolino la paura che, a breve, ne possa cominciare un altro. Diverso. Consapevole. «E se gli danno i domiciliari? Chi ci proteggerà?».
Parlano i vicini di casa di Luca Bianchini e dei suoi genitori, i vicini di palazzo e chi allo stupratore seriale sè accostato per un attimo fugace, per il tempo di un caffè, di un giornale comprato alledicola dietro langolo, di unopinione politica scambiata ad alta voce, con un livore pacato, che passa presto. Parlano e ne evocano la figura, chi a fatica e chi senza tentennare. Esibiscono i ricordi come fossero trofei. E limmagine che ne viene fuori, laggettivo che fa capolino nel mucchio frettoloso delle parole, è sempre lo stesso, lapidario: «Insospettabile».
Ieri il Torrino, semideserto, si è svegliato sotto un sole fiero, caldo, finalmente estivo. E ha preso a declinare una storia che mai avrebbe pensato potesse assumere una qualche rilevanza: «Veniva sempre qui a prendere laperitivo con i suoi amici di partito - spiega il giovane barista del Caffè Decò - era una persona come noi, come tutti noi». Poi, con una teatralità eccessiva, che rende il gesto non lirico ma goffo, aggiunge rivolto a un cliente: «Poteva essere uno come te o come me».
A via Durban, nel palazzo dove abitano i suoi genitori, gli inquilini diretti al mare o a fare spese lo descrivono come «un ragazzo molto educato». Che «salutava sempre tutti quando lo incontravamo per le scale». «Garbatamente», precisano. Le parole si colorano e le espressioni si corrucciano soltanto quando i vicini devono parlare del padre di Bianchini. Un amministratore di condominio che, evidentemente, non ha lasciato affatto un bel ricordo. Ma per il figlio, invece, si sprecano solo aggettivi gentili, che stridono parecchio con limmagine ufficiale, quella di un mostro, di un maniaco seriale, un violentatore senza scrupoli. Con un canovaccio preciso da seguire e la voglia di smetterla, affogata però nella follia. «È stato imbarazzante anche raccontare questa storia ai miei figli piccoli, che lhanno visto in televisione e lhanno riconosciuto. Mi hanno chiesto il significato della parola stupratore», racconta una signora che si allontana nervosamente non appena le domandiamo ulteriori dettagli sulla famiglia Bianchini. «Non scriva niente, non scriva niente», ripete un paio di volte.
E poi, ironia della sorte, cè quel soprannome che esce fuori, che qualcuno gli aveva affibbiato per gioco osservandolo durante le riunioni di condominio. Una vicina, vedendolo spesso e volentieri in giacca e cravatta, senza una piega sul vestito, senza mai un accenno minimo di qualcosa che fosse fuori posto lo aveva chiamato «il prete». «Sembrava un angelo e invece è un diavolo - dice oggi senza sorridere, ma prendendosi molto sul serio - si vede proprio che labito non fa il monaco».
Ora cè lattesa di quello che succederà.
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