Il destino è bizzarro: «Era il 2007, Governo Prodi. Arrivai a Palazzo Madama per incontrare il mio amore».
La sua compagna?
«Francesca De Stefano, avvocato, dirigente del ministero dell’Economia. Reggina come me: sua nonna era cliente della sartoria di mia madre. Ma, anagraficamente, con venticinque anni in meno del sottoscritto».
Complimenti.
«Posso proseguire?».
Ci mancherebbe.
«Ero senza cravatta».
Santo Versace senza cravatta?
«Il commesso mi sbarrò la strada e me ne diede una, neutra, da croupier, per entrare».
Morale?
«Grazie al commesso ho incontrato Francesca. Adesso sono deputato e qualche volta me la metto, qualche volta no. Mio fratello Gianni aveva scritto un libro intrigante, L’uomo senza cravatta, in cui spiegava che la cravatta non significa nulla. Ci sono mafiosi che la indossano e restano criminali. Però alla Camera do il buon esempio: vesto Versace».
La seconda vita di Santo Versace non cancella la prima: parlamentare ma anche presidente dell’omonimo gruppo, uno dei simboli del made in Italy, quasi 300 milioni di fatturato. E la prima esistenza non comprime la seconda: negli ultimi mesi, Versace si è fatto notare per gli interventi, le interviste e le ospitate tv in cui puntigliosamente combatte gli sprechi della pubblica amministrazione, contesta le sacche di inefficienza dello Stato, punta il dito contro i privilegi della magistratura. Insomma, il sarto usa le forbici anche a Montecitorio. E a 65 anni si è guadagnato una discreta fama anche fuori dai confini dell’impero glamour della Medusa.
Onorevole, ma chi gliel’ha fatto fare di entrare in politica?
«Silvio Berlusconi. È stato lui a chiamarmi».
Il Cavaliere è il primo contribuente del Parlamento, lei il secondo. Più di 5 milioni nel 2008.
«È stato un anno con discreti dividendi. Ma c’è molto da fare: il marchio Versace vale almeno un miliardo, ma dopo la morte di Gianni siamo rimasti indietro».
Anche la casta cui lei appartiene è rimasta indietro.
«Troppi parlamentari sono rassegnati e pensano di essere inutili. Ci vuole convinzione. Io lavoro, molto e seriamente, e del resto la politica ce l’ho nel sangue da sempre; nel ’68 ero vicesegretario della federazione socialista di Reggio Calabria. Negli anni Ottanta, Bettino Craxi ricevette una sera mio fratello, mia sorella Donatella e il sottoscritto. Bettino aveva capito l’enorme importanza del made in Italy. E considerava gli stilisti gli eredi dei grandi del Rinascimento».
Il Rinascimento italiano si è bloccato?
«Sono ottimista. Dobbiamo proseguire con le riforme. Sacconi si sta impegnando per il welfare, Brunetta lotta per migliorare la pubblica amministrazione, la Gelmini ha impostato un’ottima riforma dell’università».
Però i suoi figli hanno studiato all’estero. Un caso?
«Hanno scelto loro. Francesca è andata alla Saint Martin’s University di Londra, Antonio alla Columbia di New York. Però questa non significa scappare dall’Italia. Anzi, il problema è un altro».
Quale?
«Combattere davvero le battaglie per la modernizzazione. Combattere sul serio la corruzione, la burocrazia, il fisco, la casta. Lo sa quanto ci costa un’auto blu?».
Quanto?
«L’auto blu blu pesa sul contribuente per 250mila euro l’anno. Perché l’auto blu presuppone quattro autisti. Dobbiamo eliminare gli sprechi».
Lei da dove inizierebbe?
«Dalla portaerei Cavour. Non ci serve, potremmo venderla, lo Stato incasserebbe 2 miliardi di euro».
E La Russa?
«Dica quello che vuole».
Col Cavaliere di cosa parlate? Dei vostri redditi?
«Non lo vedo da quando è stato ricoverato al San Raffaele, dopo l’aggressione. Però credo che dia troppo ascolto agli incendiari, ai piromani. A me piacciono i pompieri. Da bambino giocavo con le macchinine dei pompieri».
Il ministero dello Sviluppo economico, oggi vacante, le piacerebbe?
«Nessuno me l’ha proposto. Non credo che mi toccherà».
Messaggio ricevuto. Chi farebbe sfilare sulla passerella di Montecitorio e di Palazzo Madama?
«Fra gli uomini Pier Ferdinando Casini, davvero un bell’uomo, e Gianfranco Fini, sempre magro, asciutto».
Fra le donne?
«Ci sono molte ragazze carine. La Prestigiacomo, la Carfagna, Gabriella Giammanco, Annagrazia Calabria, nell’opposizione Marianna Madia. Poi c’è Giulia Bongiorno. Ha carisma, sarebbe una testimonial perfetta. Come il suo direttore Vittorio Feltri. Lo chiamerò».
Chi rivestirebbe dalla testa ai piedi?
«Roberto Giachetti del Pd. Troppo casual, potrebbe fare di meglio. Il physique du rôle ce l’ha».
Scusi, non le fa impressione parlare oggi con la Bindi e domani con Naomi Campbell?
«Naomi è un po’ che non la sento. Quando litigava, e succedeva spesso, con i suoi fidanzati, chiamava Gianni: Gianni le ha fatto da padre e da fratello maggiore. Lei prendeva e veniva sul lago di Como, si piazzava nella vila di Moltrasio e si dava una calmata. In settimana la chiamerò. Devo trovare il tempo. Sa, io sono un cittadino del mondo».
Ci vuole rivelare la sua agenda della settimana?
«Venerdì ero a Venezia a una cena con cinquecento giovani imprenditori guidati da Matteo Zoppas. Il ricavato della serata è andato a finanziare Operation Smile, una onlus di cui sono presidente che si occupa dei bambini malformati; sabato invece ero a Roma, a Villa Medici, per un ricevimento con i signori della moda e pezzi di nobiltà. La settimana precedente mi trovavo a Beirut per lanciare la Torre Versace e qualche giorno prima a Dubai, per fare il punto sul Palazzo Versace, il secondo dopo quello già aperto in Australia. Quello di Dubai nasce con una madrina d’eccezione: Cindy Crawford».
Si fermi. E ci consigli. Quest’estate dove si va in spiaggia?
«Andrò in Sardegna. Dalle parti di Villasimius. Sardegna del Sud. Sardegna vera. Con Francesca e alcuni amici».
Insomma, lei ha il mappamondo sul comodino. E immagino che abbia case ovunque.
«A Londra, a New York, due a Roma, tre o quattro a Reggio Calabria. Due a Milano. O tre?».
Ha perso i conteggi?
«No, sono tre».
Anche su questo fa concorrenza al Cavaliere?
«Il Cavaliere è imbattibile».
In questo turbinio ha mancato la cena a casa Vespa con Berlusconi e Casini.
«Non sono stato invitato. Avrei fatto sentire la mia voce».
Le basterebbe essere il sarto del Cavaliere?
«Molti deputati vestono Versace. Ed Elvira Savino si è sposata con un abito Versace. Il Cavaliere era testimone».
Testimone o e testimonial?
«Testimone. Per come era iniziato il rapporto, pensavo di lavorare a stretto contatto con lui. Non è andata così. Adesso in compenso ho raggiunto un accordo con la nazionale parlamentare, guidata da Gioacchino Alfano, deputato Pdl di Napoli: vestiranno Versace».
Lei è sempre favorevole alla nomina di Giorgio Armani a senatore a vita?
«Certo, l’ho proposta io. Con Gianni è il simbolo per eccellenza del made in Italy».
E come la mettiamo con le cravatte dei parlamentari?
«Potremmo fare a metà».
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