Telenovela e thriller in "La ragazza della neve". Ne avevamo bisogno?

Una bambina scomparsa, delle indagini a rilento e una giornalista che fa i conti con il suo trauma. Il nuovo thriller di produzione spagnola primo in classifica su Netflix

Telenovela e thriller in "La ragazza della neve". Ne avevamo bisogno?

Dopo il successo planetario - e ancora inesaurito - de La Casa De Papel e di Elite, i produttori spagnoli tornano a esplorare nuovi generi e format, conquistando le prime posizioni della classifica di Netflix con La Ragazza di Neve (La Chica de Nieve), un thriller-poliziesco che prende vita dall'inchiostro dell'omonima best-seller di Javier Castillo. Una serie capace sì di catturare l'attenzione e tenere con il fiato sospeso, ma che spesso cade nella banalità e, peggio ancora, interrompe o lascia incomplete diverse sottotrame, lasciando lo spettatore insoddisfatto.

La serie si apre nella piccola città andalusa di Málaga, nel 2010, durante l'affollata sfilata dei Re Magi. Quello che si presenta come il momento più magico dell'anno si trasforma in un incubo senza fine per la famiglia Martín quando la piccola Amaya, la figlia di quasi sei anni, scompare tra la folla. I genitori, disperati, lanciano subito l'allarme. Iniziano le ricerche, la polizia indaga e, come in ogni caso di cronaca nera, i media si lanciano massivamente sulla storia. A prendere particolarmente a cuore la sparizione di Amaya è l'apprendista giornalista Miren Rojo che, affiancata dal mentore e collega Eduardo, avvia un'indagine parallela a quella dell'ispettrice Millán, di cui ritiene discutibili l'impegno e i metodi investigativi a causa di alcuni trascorsi che ancora la tormentano.

Giocando con i tempi, scopriamo che l'indagine va avanti per anni senza successo. L'unica a non essersi arresa, oltre ai genitori della piccola, è proprio la giovane Miren che, consciamente o meno, esorcizza il trauma dell'abuso subito anni prima ma mai metabolizzato con la ricerca ossessiva di Amaya. Le ipotesi e gli indagati sono diversi, in una fitta rete di sospetti, ansie, angoscia e speranza. Forse troppo fitta: si vuole narrare tutto e incrociare diversi piani, ma ci si dimentica di chiudere alcuni cerchi e si lasciano in sospeso troppe sottotrame. Il risultato è un finale che, seppur a lieto fine, lascia l'amaro in bocca per come si è evoluta in modo squilibrato la narrazione.

Anche se permane in sottofondo quel tono melenso tipico della telenovela, gli attori sono fortunatamente riusciti a svestirsi di quel campionario espressivo e gestuale fortemente marcato che caratterizza le perfomance nelle produzioni spagnole e le reazioni estreme sono quindi limitate a pochi e giustificati momenti. Anche troppo apatica l'interpretazione di Milena Smit (già vista in Madres Paralelas di Pedro Almodóvar) nei panni della reporter Miren: una scelta ponderata, basata sugli eventi che hanno intaccato il processo di crescita della ragazza, ma che portano l'attrice a una performance alquanto piatta, poco coinvolgente e per questo respingente dal punto di vista dell'immedesimazione spettatoriale.

A guastare ancora un po' il gusto de La Ragazza di Neve sono proprio gli elementi tipici del thriller-poliziesco.

L'impressione è quella di voler rispettare talmente alla lettera il genere dal finire per tratteggiarne una forzatura: quasi ogni scena, dalle inquadrature ai dialoghi, fino alle più semplici azioni dei personaggi, scade nella prevedibilità, in quanto ricalca in modo piuttosto fastidioso la sceneggiatura del classico giallo statunitense. Il risultato? Un continuo dejà-vu.

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