Serracchiani, la saputella di provincia che mette zizzania

Salita alla ribalta con un discorso web di 13 minuti, non ha più smesso di dare lezioni. Ha una risposta per tutto, sempre con parole senza senso

Serracchiani, la saputella di provincia che mette zizzania

Fatto suo lo slogan del dentifricio Durban’s, con quella bocca può dire quel che vuole, Debora Serracchiani non se ne fa mancare una. È da mesi in uno stato di irrefrenabile euforia che sfoga straparlando. Ogni giornalista a corto di spunti ma con due colonne da riempire con lei va sul sicuro. Il nuovo idolo del Pd ha tempo per tutti e una risposta su tutto.

Volete per esempio conoscere il suo pensiero sul «giusto equilibrio tra rispetto dei diritti e rispetto delle coscienze individuali?». Voi, probabilmente, ve ne infischiate. Ma il «Circolo online Pd Obama» ci teneva a saperlo e lei non si è fatta pregare: «Gli individui - ha spiegato - devono essere messi nella possibilità di scegliere, nel rispetto della coscienza di ciascuno». Rigiratele come vi pare, ma né la domanda, né la risposta hanno un qualsivoglia senso. Per voi leggerle è stato una perdita secca di tempo. Debora ha invece aggiunto un’altra tacca alla sua nomea di Pizia della sinistra. Nell’asserzione i fan rinverranno significati reconditi, messaggi di riscossa, parole finalmente di sinistra. Qualsiasi cosa Debora dica è infatti presa per oro colato sia che rientri nei canoni occidentali della comprensibilità, sia che ne prescinda, come nel caso in specie.
Il fenomeno Serracchiani, più che riguardare questa trentottenne con frangetta, illustra il patetico smarrimento dell’elettorato del Pd. A secco da anni di speranze e soddisfazioni, la sinistra è costretta a scambiare l’entusiasmo senza capo né coda di questa ragazza di provincia per il sole dell’avvenire. Il bello dell’equivoco è che la prima a credere ai propri poteri taumaturgici è la fanciulla stessa. Di qui, il suo costante imperversare.

Negli ultimi tre giorni si è talmente espansa che ha riempito di sé quotidiani, tv locali, femminili e la rete internettiana nel suo complesso. Mi limito a una ponderata selezione. Con una premessa. Debora è salita alla ribalta nel marzo scorso all’Assemblea dei circoli del Pd lanciando un appello all’unità del partito: basta farci le scarpe tra noi, troviamo una linea condivisa, il nemico da battere è Berlusconi. Bene, entrata anche lei nell’agone, si è subito smentita.
Salendo in cattedra ha dato le pagelle ai papaveri del Pd, con particolare attenzione ai candidati segretari. L’autostrada per seminare ulteriore zizzania in un campo già folto di infestanti. Il voto più benevolo è stato per il suo prediletto, Dario Franceschini. Sei e mezzo, ma con nota a margine: «Si deve impegnare di più». A Franceschini la signorina deve tutto. Dal lancio mediatico, all’elezione a deputato europeo. Se tanto mi dà tanto, dagli amici mi guardi Iddio.

Un sei ha ricevuto Pierluigi Bersani, principale rivale di Franceschini, «anche se - avverte simpaticamente Debora - nessuno si è accorto che si è candidato». Il terzo in gara, Ignazio Marino, mago del bisturi e delle note spese, si è beccato l’insufficienza. «Non abbiamo bisogno di un chirurgo, ma di un segretario a tutto campo», ha chiosato l’esuberante, appioppandogli un misero cinque. Stesso voto a Max D’Alema col rimprovero, senti chi parla, di intrufolarsi dappertutto come il prezzemolo. Max, arricciati i baffi, ha replicato alla maestrina da par suo: «Vorrei capire questa cattedra quando l’ha avuta». Infine, con apparente modestia e spocchia vera, si è auto data tra il cinque e il sei dicendo: «Devo sforzarmi per cambiare gli altri (del Pd, ndr) e non cambiare me stessa». Tradotto: vado benissimo così; spero solo che il partito non mi corrompa. Sottinteso: non voglio trasformarmi in un’ameba anch’io. Questo vi dà l’idea che la giovinetta ha di se stessa: una forza integra capitata in un corpo infetto con l’alta missione di guarirlo.

Con quali mezzi l’ha detto domenica facendo con Franceschini un po’ di campagna elettorale in favore del medesimo. In jeans e maglietta si è presentata con Dario, in analogo look confidenziale, a duecento simpatizzanti romagnoli nella Rocca di Bertinoro. Dopo un preambolo serioso e vagamente babbione del segretario uscente, la sbarbatella tutto pepe ha impugnato l’ascia e preso la parola: «Disciplina. Disciplina, ecco quello che ci vuole. Giusto discutere, ma quando la linea è stata scelta, va rispettata». Pausa a effetto e stilettata: «Chi non segue la linea deve essere spedito ad attaccare i manifesti per punizione». La cosa è piaciuta moltissimo ai vecchi militanti e ai togliattiani frammisti al pubblico, tanto che uno ha chiesto speranzoso: «Torniamo al centralismo democratico (l’antico modo di tacere e obbedire proprio del Pci, ndr)?». La risposta sincera sarebbe stata sì, ma lei abile e à la page ha invece replicato: «Ma no, il mio è solo buonsenso democratico, quello che non abbiamo avuto per troppo tempo e che ci ha fatto perdere voti e credibilità».

La ricetta di Debora è, in sostanza, pugno di ferro. Basta con le autoanalisi, le sedute di gruppo, la miriade di opinioni, il piangersi addosso. È lo stesso atteggiamento che piacque tanto nella famosa assise di marzo quando con un discorsetto di tredici minuti, la sconosciuta avvocatessa di Udine, salì alla ribalta nazionale.
In quell’occasione, disse due parole chiave che mandarono in visibilio i presenti: «Basta», «È follia». Il basta riferito alla linea politica ondivaga di Veltroni, il follia al fatto che troppi nel Pd mettono bocca. Ma, attanagliata anche lei dal vuoto di idee del partito cui si candida mosca cocchiera, non delineò uno straccio di programma. Riuscì solo a dire - e tutti ad ascoltarla al settimo cielo - che non voleva l’Italia del Berlusca. E giù la solita immagine burletta del Cav: le ronde, le tv, il conflitto di interessi, il lodo Alfano. Silenzio sui magistrati d’assalto, le intercettazioni alla De Magistris, la ripulitura di Napoli dai rifiuti accumulati da Bassolino e benedetti come reliquie da Prodi, ecc. Nei fatti, la solita retorica volatile dei D’Alema, Veltroni, Franceschini con un di più di vivaci anacoluti e oscurità come queste (tratte dal discorso che ha furoreggiato tra i militanti su You Tube): «Io credo che il problema del Pd è che sia mancata la leadership intesa come il mezzo per una linea politica di sintesi, una linea politica che nella più ampia discussione, nella più approfondita mediazione che è necessaria... ecc». In quei tredici minuti riuscì anche a elogiare lo stile da strada di Di Pietro, contrapponendolo a quello fiacco dei suoi leader. «Noi cominciamo i nostri discorsi con “Io”, l’Idv invece comincia, “Berlusconi dice”, “L’Idv pensa”... d’ora in avanti facciamo come loro». Poi concluse con la sviolinata a Dario (appena succeduto a Veltroni) che le ha spalancato la carriera: «Tu, Franceschini, hai il compito di dare credibilità nuova a questo partito e ci stai riuscendo alla grande». Neofita sì, ma paraventa pure. È passata alle cronache anche l’altra turibolata in pro di Dario: «Lo sostengo perché è simpatico». «Lo era anche Totò», è stato il meno caustico dei commenti che suoi compagni di partito le hanno rovesciato addosso.
Se Serracchiani non è una fan di Totò - inteso stavolta come Di Pietro - poco ci manca. Con Beppe Grillo, che dell’ex pm è una costola, intrattiene via blog una melensa e rispettosa corrispondenza. «Caro Beppe... in fondo stiamo lavorando per uno stesso obiettivo. Ti prego di concedermi il beneficio del dubbio. Forse la strada che ho scelto io (ma quale sia non dice, ndr) è quella più indicata per rinnovare la politica. Lasciami provare». Risposta ammansita di Grillo: «Forse sei una persona giusta, ma nel posto sbagliato... In bocca al lupo».

Nel breve arco di questi mesi, Debora è già riuscita a scrivere un libro Il coraggio che manca, ovviamente al Pd e che invece in lei ribolle. Frase chiave: «Io non ho sponsor, io sono quella che sono e devo crearmi uno spazio sul campo». Insomma, il dubbio non è il suo forte.

A darle fumo al cervello è stato l’ottimo risultato delle Europee. Solo in base ai famosi tredici minuti al microfono, le fideiste truppe democratiche del Friuli le hanno dato 74mila voti. Nessuno dei luoghi ha fatto meglio. Il Cav ne ha avuti novemila meno e il candidato ufficiale del Pd, Luigi Berlinguer, consunto cugino dell’indimenticabile icona, ne ha racimolati solo undicimila. Avrebbe probabilmente perso la testa anche uno che partiva da più lontano.

Debora è una romana diventata friulana per amore. Fatte le medie in istituto di suore della Capitale - con relativo successo delle pie donne poiché, sia pure credente non è praticante - si innamorò a vent’anni di Riccardo. Per seguirlo, si è trasferita ventiduenne a Udine dove convivono tuttora felicemente con due cani e tre gatti. Per un po’ si è accontentata di esercitare l’avvocatura nel foro che, se non erro, fu quello in cui debuttò il celebre Carnelutti. Finché, nel 2006, la politica entrò prepotente nella sua vita. Divenne consigliere provinciale dei Ds. L’anno scorso ha preso la guida del Pd cittadino. Ora è candidata alla segreteria regionale del partito. Veltroni la vuole pure vicesegretario di Franceschini se costui vincerà.

Intanto deve andare ogni settimana a Strasburgo e prosegue a pieno ritmo con la professione. Se riuscirà in tutto, non saprà probabilmente a chi dare i resti. Nel frattempo, si accontenta di dare entusiasticamente i numeri.

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