Tra sfottò e impegno: gli irregolari dell'arte

Giovani e ribelli: Luca Rossi, Giulio Alvigini, Stefano Calligaro provocano il "sistema". Con stile

Tra sfottò e impegno: gli irregolari dell'arte

È un pomeriggio di fine novembre quando telefono alla galleria Massimo Minini. «Pronto?» dico. «Di recente vi sono mica arrivate delle pizze?» Prima silenzio, poi una risposta perplessa «Ma quali pizze?».

D'accordo, non è andata esattamente così. La galleria Minini di Brescia è una delle più prestigiose d'Italia, mica potevo esordire a quel modo. Mi sono presentato, ho spiegato che mi accingevo a scrivere un articolo su Luca Rossi, e poi ho chiesto davvero la cosa delle pizze. Il punto è che «Luca Rossi» (nome d'arte che si è dato Enrico Morsiani, bolognese classe 1979) è un artista concettuale che sta tentando di riproporre, con la Galleria Minini, il suo progetto più riuscito, che consta nel mandare delle pizze, dentro i loro cartoni, a gallerie prestigiose, meglio se durante un'inaugurazione.

Secondo quanto afferma Luca Rossi in un post recente sul suo Instagram (@documentalive_), corredato di foto della galleria Minini con pareti vuote, «Il possibile arrivo delle pizze pone lo spazio espositivo in una condizione di continua attesa, mentre l'arrivo della pizza costringe ad un confronto critico che oggi manca nel sistema dell'arte contemporanea». Buffo? Abbastanza. «Successivamente i cartoni della pizza diventeranno il supporto per alcune opere dove i dipendenti della galleria potranno scrivere IMG e 4 numeri della propria data di nascita. Ogni opera avrà come titolo: Se non capisci una cosa cercala su YouTube». Complicato? Parecchio. Per capire bisogna finire di leggere, così da apprendere che i video caricati senza titolo su YouTube da tutto il mondo, migliaia ogni giorno, ricevono il titolo automatico di IMG con 4 numeri a seguire, e siccome quattro numeri sono pochi, cercando per esempio IMG1979 troveremo una valanga di video qualunque di gente qualunque, il cui elenco crescerà e muterà ogni giorno. Interessante? Mah. Bello? Boh.

Ma Luca Rossi è così, un artista che cerca di disturbare, guastare, rivoluzionare il mondo dell'arte contemporanea attraverso progetti-blitz e azioni disarmanti e criptiche, anzi spesso critiche. E infatti si può considerare un progetto anche il suo costante criticare gli artisti più in voga ma più (almeno per lui) scollegati dalla realtà, che, sostiene, producono opere poco originali, derivative, che costano insensatamente care non per intrinseco valore artistico ma grazie al sistema e a una solida rete di pubbliche relazioni. Per dire: Gian Maria Tosatti, che ha avuto l'intero Padiglione Italia all'ultima Biennale, per Luca Rossi è affetto dalla Sindrome del Giovane Indiana Jones, cioè l'uso senza motivo di polvere, ruggine, materiali vintage, in una specie di informale-arte povera fuori tempo massimo; Patrick Tuttofuoco realizza sculture-installazioni con un'estetica da Ikea Evoluta, che, provo a tradurre, significa usare oggetti qualunque e decorazioni misere, in opere che arrivano al limite del complemento di arredo. Paola Pivi, nota per le sue spettacolari installazioni di grandi orsi colorati, sposa invece l'estetica delle «cose a caso». E via così, tanto che Luca Rossi ha creato la «Guida Michelin-o», dove elenca il prezzo che dovrebbe avere un'opera 50x50 di decine di artisti, incluse le tre star appena citate, e dove mette giù cifre da miseria: 500 euro Tosatti, 500 Tuttofuoco, 1000 Pivi... Insomma è (quasi) tutto gonfiato o insensato o avvelenato per Rossi/Morsiani, che, apprezzato da galleristi di ricerca e critici illuminati, da vent'anni lotta contro il sistema, anzi è convinto di averlo già cambiato, di aver tracciato una via alternativa, ma continua a fare, scrivere, correre. E a mandare pizze, anche se alla galleria Minini non è arrivata manco una margherita. Il 16 dicembre, a Milano, la Galleria Six inaugura una sua personale. Non è dato sapere se, almeno lì, si concretizzerà la pizzata, ma per certo ci saranno delle nuove opere. Ho chiesto le foto. Sono arrivate immagini di scatole e bustoni anonimi, su cui si leggono i nomi di tre artisti celebri. Dentro ci sono delle loro ibridazioni (immagino), ma cosa siano davvero lo si potrà scoprire solo acquistandole e portandosele a casa, in galleria non si possono aprire. Prezzo? Dai 1500 in su, con buona pace di Tosatti, Pivi, Tuttofuoco.

Ma quanto a guastatori/disturbatori del non irreprensibile mondo dell'arte italiana preferisco chi si prende meno sul serio e la mette sul ridere, usando per salvaguardia l'autoironia. Come Giulio Alvigini, classe 1995, noto su Instagram come @makeitalianartgreatagain. Con una battuta, si può dire che la cosa sbagliata nel sistema dell'arte italiana, secondo Alvigini, è essenzialmente che lo taglia fuori. «I don't need sex, the art world fucks me everyday», recita la pagina di apertura del suo sito. Che poi non è neanche vero che lo taglia fuori, perché le dichiarazioni di Alvigini, le sue comparsate, i suoi meme, le frasi corrosive o autocommiseratorie sull'essere artista («Non dite a mia madre che faccio l'artista, lei mi crede scippatore di vecchiette») che stampa su magliette, cuscini, asciugamani, pannelli, appartengono a un personaggio la cui intera vita è la vera opera. E ciò, magari con indulgenza e un po' di paternalismo, è apprezzato dal mondo dell'arte italiana, dove Alvigini è un nome in costante crescita di popolarità. Per esempio: Suonare Zanella è una mostra appena inaugurata e aperta fino al 24 aprile, installata nella casa romana del critico e consulente Nicola Zanella (visite solo su prenotazione). «Oggi Roma domani Moma» recita uno dei cuscini-opera esposti da Alvigini. «Galleria portami via» invece è stampato in oro su un asciugamano rosa. «Bello ma non lo comprerei» è su una tela appesa al muro. Sono multipli a piccola tiratura, con prezzi tra 500 e 1800 euro. Ho consultato la «Guida Michelin-o» e possiamo stare tranquilli, Luca Rossi approva. Non entra invece nel suo radar Stefano Calligaro.

Peccato, perché anche i Poetricks dell'artista friulano sono irriverenti, divertenti, e vanno via come il pane. Ne ho preso uno per mia figlia a soli 50 euro, è una maglietta realizzata in 100 esemplari con sopra stampato «Histery of Art». Gioco di parole o verità?

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