SGORLON Progetti dal sottosuolo

Dal suo Friuli, dove è nato nel 1930 e dove vive, Carlo Sgorlon continua a mandarci messaggi di vita e di speranza. Il bisogno di raccontare grandi storie non muore. È un narratore che sembra scrivere per istinto, corale, naturale, sorgivo, ma sarebbe limitante non notare che negli anni, da Il trono di legno (1973) ad oggi, ha elaborato una propria poetica narrativa ben precisa e talmente controcorrente che in certi ambienti letterari stucchevoli e stantii fa comodo non vederla.
Si tratta di uno scrittore generoso, che privilegia il momento epico della narrazione, che sa fondere il realistico con il fiabesco, che sa comporre le tragedie della storia (quella delle foibe, dell’eccidio di Porzùs, ad esempio) e le energie del mito. Uno scrittore che, a partire da descrizioni di una realtà contadina, ha sviluppato un occhio acutissimo sulla natura e sul pericolo del suo degrado, e che, dall’amore per i popoli perdenti e senza patria, ha maturato il senso di un narrare che è anche memoria drammatica ed epopea.
Questo nuovo grande romanzo, L’alchimista degli strati (Mondadori, pagg. 321, euro 18) ha al centro un tema di eccezionale rilievo: l’energia. L’energia nelle sue forme più diverse. L’amicizia con le sue improvvise, imprevedibili attrazioni magnetiche; l’amore, con la sua trascinante potenza rivolta a creare; la ricerca, che muove l’uomo verso nuovi traguardi nel disinteresse e nella generosità; l’avventura, che spinge a scegliere e a viaggiare nell’ignoto. Tutto è energia: lo spirito, la luce. Ma questo romanzo, sorprendente, ardito, parla dell’energia soprattutto nelle sue manifestazioni materiali. È il romanzo del petrolio, oscura fonte di ricchezza e di maledizione, ed è il romanzo della crisi del petrolio, della necessità di nuove sostanze in grado di sostituirlo.
Sgorlon, più attento alle problematiche del nostro tempo di tanti romanzieri giovanotti, conduce il lettore nel laboratorio faustiano dove si cerca un nuovo propellente pulito per far girare la macchina del mondo, e lo guida attraverso un viaggio nel sottosuolo, nelle ere geologiche, negli strati che si sovrappongono e si spezzano, nel magma interno della terra, riserva incalcolabile di potenza e di calore. Il protagonista, Martino Senales, è un geologo altoatesino il cui destino è inseguire queste nuove forme di energia per salvare il pianeta. Al suo fianco avrà Abramo, il figlio di un ricchissimo emiro, signore del petrolio, che conosce all’Università a Milano. Mentre cerca questa energia, cerca se stesso nelle donne che incontra e che ama, tra cui spiccano la enigmatica, sensuale, aristocratica Leni, la dolce e studiosa Irene, Ruqayya e Dhu l’Himma, mogli di matrimoni a scadenza secondo un antico uso arabo.
L’azione si svolge tra l’Alto Adige e il Medio Oriente. Il viaggio di ritorno in Italia del protagonista, dopo che guerra e fondamentalismi hanno destabilizzato l’emirato in cui aveva seguito Abramo per lavorare all’estrazione del petrolio, si tinge di epico, con la descrizione prima della traversata del deserto in mezzo ai nomadi, poi del viaggio dalla Turchia attraverso i Balcani sino alla frontiera italiana in un camion di clandestini. Sgorlon ha una visione grandiosa, drammatica e omerica, delle migrazioni che squassano il continente europeo. Le vede come grandi ondate di energia anch’esse, cui è vano tentare di opporsi, e che invece occorre incanalare e portare a buon fine. Le pagine del ritorno da clandestino del protagonista sono tra le più fervide di un libro tutto traversato da un senso di apertura, di avventura e di pietà.
Il tema del confronto tra le civiltà è centrale. Il mondo è globalizzato, niente di strano che il figlio di un emiro si trasferisca vicino a Bressanone e che il figlio di un altoatesino vada a lavorare in Medio Oriente. Ma le civiltà che si incontrano e si fondono nell’amicizia e nell’amore si scontrano quando entrano in gioco potere e ricchezza. Il mondo arabo dove vengono a trovarsi Martino, Irene e Abramo è agitato da dittatori che vogliono estendere il loro dominio, da correnti che vogliono imporre la supremazia dell’Islam anche politicamente o col terrore, finendo per tradire la loro religione stessa. Perché Islam significa sottomissione a Dio, e in questo senso, come ebbe a dire Goethe, il più grande e illuminato tra gli europei, tutti gli uomini vivono nell’Islam.
Molto spazio viene dato nel libro a una visione dell’amore in cui materia e spirito si identificano, e in cui non viene condannato nulla della libertà e dell’ambigua sensualità in cui spesso l’amore si esprime. Il nonno del protagonista era un emigrato italiano in Libano che si era trovato a fare da assistente a Lawrence d’Arabia. Il protagonista, all’apice del successo di geologo e di scopritore di nuova energia pulita e rinnovabile, fugge con la sua donna su una motocicletta simile a quella su cui tante foto immortalano Lawrence d’Arabia.

Segno che i destini si inseguono, che la ricerca è infinita, e che l’avventura continua. Bello che ce lo ricordi Sgorlon, con la sua religione della natura, uno scrittore che osa ancora oggi affermare che gli uomini non conoscono nulla della realtà e del mondo «se non nell’illusione e nel sogno».

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