UNO SGRAVIO NEL MOTORE

Venerdì, due giorni fa, a New York il petrolio ha chiuso a 64,20 dollari al barile. Il prezzo «normale» dovrebbe essere attorno ai 40 dollari. Ultimamente è stato anche più caro. Il petrolio sta all'economia come il sangue al corpo umano.
Finalmente anche l'Unione Europea inizia ad occuparsene. Nella riunione dell'Ecofin (che raccoglie tutti i ministri finanziari degli Stati europei) che si è svolta a Manchester se n’è parlato a lungo e il ministro dell’Economia Siniscalco ha annunciato che saranno prese misure a favore, soprattutto, delle famiglie più deboli . Sacrosanto, perché in quelle fasce della popolazione l'aumento del petrolio può avere due effetti egualmente molto negativi. O una diminuzione del reddito da destinare ad altre spese che non siano quelle più legate, ad esempio alla benzina o al riscaldamento. O una riduzione dei soldi spesi comprando i prodotti legati al petrolio stesso. In parole povere: o comprano meno benzina o comprano meno altre cose perché la benzina costa di più. E le cose vanno male in tutti e due i casi.
Siniscalco ha detto anche che non diminuirà le accise sulla benzina, cioè le tasse di chi va al distributore. Non lo può fare per la semplice ragione che non ci sono soldi per poterselo permettere. Ha poi aggiunto che, tuttavia, si può e si deve ragionare se non sia arrivato il momento di rimettere in giro qualche soldo, a favore di tutti, e soprattutto dei più deboli, di tutti quei quattrini che, grazie al caro greggio, guadagnano i gruppi petroliferi. Certamente a Siniscalco non sarà sfuggita l'ipotesi che il suo omologo francese, il ministro Thierry Breton, ha lanciato la scorsa settimana, annunciando che avrebbe introdotto una tassa speciale sui super dividendi (i guadagni) delle compagnie petrolifere. L'annuncio del ministro francese ha provocato una immediata reazione da parte di alcune compagnie che l’altro ieri hanno annunciato a loro volta che avrebbero diminuito i prezzi di tre centesimi al litro per la benzina e di due centesimi per il diesel. Vedi mai che anche il governo italiano prenda in considerazione la proposta francese: la situazione del resto, suggerisce di evitare scorciatoie demagogiche ma di assumere, con energia, scelte chiare e mirate.
Ora c'è da dire che certamente, nei momenti di difficoltà, si prendono provvedimenti ad hoc. Se il problema c'è oggi non si può rispondere domani. E l'Europa per farsi sentire ha già aspettato dopodomani. Non è una novità. Né siamo tra quelli che sono comunque contro i provvedimenti d'urgenza. Non demmo contro neanche alle una tantum di Tremonti. Poi gli dette ragione anche il Fondo monetario internazionale.
Ma, con altrettanta certezza, non sono queste le misure che possono assicurare una maggiore stabilità nel prezzo dei barili. La soluzione è una maggiore autonomia energetica, cioè non dover dipendere quasi totalmente dal petrolio che viene da fuori o da fonti alternative, come il nucleare, comunque acquistato da fuori. Occorre che l'Italia si doti di fonti alternative, assieme all'Europa. Occorre, cioè, lavorare come si fa in altre parti del mondo, Usa per esempio, per tagliare le quote di dipendenza dall'estero, Paesi o regioni del globo che siano.

È una battaglia dura pensando che, da noi, si discute molto anche sul fatto che le pale delle centrali di energia eolica (prodotta sfruttando il vento) deturpano il paesaggio. Forse, a volte, è anche vero. Ma c'è in Italia chi, finalmente, rilanci la questione nucleare? Dove non poté la discussione potrà il barile? Speriamo.

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