Si può governare bene anche senza Tremonti

Tremonti non è riuscito in que­s­ti anni a risolvere nes­suna delle sue ambi­guità. Si è ritrovato in brac­cio tutti e tre i ministeri economi­ci. A quel punto ha dettato legge

Si può governare bene 
anche senza Tremonti

Giulio va, sta o si barcame­na? La verità è che si può governare anche senza Tremonti. Ora più che mai. Non perché il ministro dell’Economia sia un incapace o tutte quelle sto­rie sui mostri da abbattere nei videogame spaventino i mercati. Il problema è un altro. Tremonti non è riuscito in que­s­ti anni a risolvere nes­suna delle sue ambi­guità. Fin dall’inizio de­ve aver pen­sato che Berlu­sconi in questo governo ci met­teva la faccia, le grane e i voti, ma le scelte serie, quelle che pesano, spettavano a lui. Come ha ripetu­to più volte Antonio Martino: se dai a qualcuno la cassa del gover­no prima o poi penserà di essere lui il capo. È quello che è successo a Tremonti. Si è ritrovato in brac­cio tutti e tre i ministeri economi­ci. A quel punto ha cominciato a dettare legge. Ogni volta che un suo collega si presentava con la mano aperta lui lo guardava come un fastidioso postulante. Il risult­a­to è che il buon Giulio si è fatto una lista di nemici lunga come i collegati alla Finanziaria. Solo il Cavaliere e Bossi lo hanno protetto, poi anche quando loro si sono resi conto che il superministro stava giocando una partita tutta sua lo hanno lascia­to al suo destino.

Fin qui, però, si poteva ancora convivere. Tremonti non fa squa­dra, ma lavora per il bene del Pae­se. Quest’estate invece qualcosa si è rotto sul serio. Il guaio di Tre­monti come economista è la sua tendenza a essere cervellotico. Non fa mai manovre chiare e lineari. Si diverte a costruire architetture barocche, co­me se ogni provvedimento sia il pezzo di un rompicapo. Riempie tutto di no­te a piè di pagina che dovrebbero far quadrare l’universo.Sono complicate e alla fine rischiano di scontentare tut­ti. I signori del mercato cercano rispo­ste nette e si ritrovano a combattere con il mal di testa. Il risultato è che, an­che quando i tagli sono notevoli, non danno fiducia all’azione del governo.

Quando poi la speculazione è diven­ta­ta pericolosa Berlusconi ha consulta­to anche la Bce. E qui Tremonti, già in fibrillazione per il caso Milanese, ha co­minciato a soffrire di gelosia. L’idea che Draghi potesse mettere il naso nel suo mondo lo ha fatto imbestialire. È di­ventato ancora più rancoroso. «Per­c­hé Silvio chiede consiglio a quello lì in­vece di lasciare giocare me?». Il neo ca­po della Bce e il superministro sono ri­vali e non lo nascondono. Non a caso anche sulla successione in Bankitalia Draghi spinge Saccomanni e Tremon­ti Grilli. Insomma, da quando nel suo orizzonte è entrato Draghi, Giulio fa il guastatore.L’accusa è che si sia messo anche in giro a parlare male dell’ulti­ma manovra, tanto da far sbottare Ber­lusconi.

È qui che torna la domanda iniziale. Tremonti non serve più a rassicurare i mercati. Non dialoga. Non fa squa­dra. Non ha mai avuto feeling con gran parte degli altri ministri. È con­vinto che il vero premier sia lui. Quan­do c’è da votare contro l’arresto del suo più stretto collaboratore scappa al di là dell’Oceano. Passa il tempo a sacramentare contro il governo. Non si riconosce nel Pdl e la Lega non sa più come coprire i suoi capricci. È chiaro che a questo punto Tremonti non è più una soluzione, una risorsa, ma un problema. Governare senza di lui non solo si può, forse è perfino uti­le.

L’Italia non ha più bisogno di un ge­niale ammazzamostri, ma di un otti­mo economista. Qualcuno in grado di dialogare, fare squadra e dare sereni­tà ai mercati. Questo significa caccia­re Tremonti? No, forse è meglio che si dimetta. È il modo più sobrio per usci­re di scena.

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