L'agnostico Sigmund Freud e lo scrittore C.S. Lewis, uno dei padri della narrativa fantasy, le cui credenze cristiane trovarono espressione in opere letterarie come Le cronache di Narnia, sono nella stessa stanza e discutono. Il loro è un dotto colloquio sull'esistenza di Dio. Solo ipotetico. In realtà quell'incontro e quel colloquio non ci sono mai stati, sono solo immaginati nel film Freud - L'ultima analisi, dal 28 novembre al cinema in Italia.
Diretto da Matt Brown, il lungometraggio vede protagonisti Anthony Hopkins nel ruolo dello psicanalista austriaco e Matthew Goode in quelli dello scrittore britannico, ed è la trasposizione cinematografica del libro di Armand Nicholi La questione di Dio, che appunto immagina il dibattito fra lo scrittore e lo scienziato. Prima del film venne tratto dal libro uno spettacolo teatrale off-Broadway, Freud's last session, scritto da Mark St. Germain, che ottenne un grande successo lo scorso decennio. Per il regista, Matt Brown, il momento per far conoscere al pubblico il soggetto del libro e della pièce non poteva essere migliore: «In un mondo così polarizzato, in cui le persone arrivano ad odiarsi solo per il fatto che non sono della stessa opinione, un dialogo colto fra due menti acute che non la pensano alla stessa maniera ma che si confrontano con educazione è qualcosa di cui sentivo il bisogno di raccontare».
L'anno in cui il dialogo è ambientato è il 1939. La salute di Freud si sta deteriorando, poche settimane dopo sarebbe morto di cancro. L'Europa è sull'orlo della guerra e C.S. Lewis, veterano della Prima Guerra Mondiale, soffre senza saperlo di sindrome da stress post-traumatico. L'incontro avviene a casa del padre della psicanalisi. L'intento è mettere in discussione le convinzioni di Freud da parte dello scrittore, prima anche lui ateo e ora fervido credente.
Hopkins - sei nomination agli Oscar e due vittorie - afferma che, in psicoanalisi, più che le teorie del personaggio che interpreta, conosce e apprezza il pensiero di Carl Jung che sosteneva che è l'inconscio, personale e collettivo, a instradare la vita di una persona: «Deve essere successo così nella mia vita. A diciott'anni, di fronte ai miei genitori che mi rimproveravano una pagella pessima, dissi: vi farò vedere quanto valgo. Mio padre, gettando la pagella nel fuoco, rispose sarà meglio, mia madre si disse sicura che l'avrei fatto. Dodici anni dopo recitavo accanto a Peter O'Toole e Katharine Hepburn in Il leone d'inverno. Poco dopo mio padre mi venne a vedere a New York dove recitavo a teatro. Scoppiò a piangere e mi chiese: come hai fatto? Risposi che non lo sapevo. Jung lo avrebbe definito il risultato del superego».
L'esistenza di Dio. Sul tema del colloquio con Lewis (che tra l'altro lo stesso Hopkins impersonò nel 1993 in Viaggio in Inghilterra), l'attore ha una raccomandazione da fare al pubblico: «Non prendere posizione a seconda delle proprie personali opinioni. Il segreto è godersi il dialogo fra i due, senza parteggiare per le proprie credenze o miscredenze, perché alla fine l'unica cosa che sappiamo sull'argomento è che non sappiamo nulla, come disse Socrate. Nessuno sa cosa succederà. Un giorno moriremo e diventeremo polvere cosmica, o forse no, chi lo sa?». Hopkins è cosciente della propria mortalità e il pensiero di essa non lo disturba. «Certo, vorrei vivere ancora sessant'anni ma so che è solo un sogno e la cosa in qualche modo mi conforta».
Anche il collega Matthew Goode, che il grande pubblico ha conosciuto nella popolare serie tv Downton Abbey, è della stessa opinione in merito alla necessita di non prendere posizione: «Per alcuni questo film avrebbe dovuto essere più acceso e urlato, ma una cosa di cui sono orgoglioso è che non lo è. È pieno di sfumature, complicato e non vuole assegnare punteggi a favore di chi crede in Dio e chi no. Sappiamo tutti che Gesù è esistito; questo è inconfutabile. Ma nessuno dei due uomini del racconto può provare o confutare se fosse il Figlio di Dio. In realtà questa impossibilità di provare il punto è ciò che unisce i due protagonisti, ed è questa la bellezza della fede di chi crede».
Il regista afferma che chi ha visto il film ha l'impressione che il dibattito sia stato vinto dalla parte avversaria: «I miei amici cristiani mi hanno detto che Freud era più convincente, la comunità scientifica e psichiatrica che ad avere la meglio è stato lo scrittore».
In tutto questo la critica non è stata accomodante con il film, definito noioso al limite del pisolino, ma ha tessuto elogi sull'interpretazione di Hopkins e
Goode. Non un film terribilmente profondo, forse, ma ottimamente recitato. Un interessante discernimento su un vecchio e polveroso dibattito che sta per essere spazzato via dalla guerra», scrive Peter Bradshaw sul Guardian.
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