Il sindaco che si crede banchiere

Si dice che una persona arrabbiata si esprima di più nel proprio dialetto. Cioè secondo le sue radici, quello che maggiormente appartiene alla sua storia, alla sua vita o, più semplicemente secondo ciò che ha in pancia. In una parola, con genuinità.
È quello che è successo avanti ieri al sindaco diessino di Siena, Maurizio Cenni. Un quotidiano ieri riportava le seguenti frasi come attribuite al sindaco della città del palio: «Questa, Tremonti o non Tremonti, è la mia città. Se la Fiat è in pericolo a Torino interviene Chiamparino. Se lo è il Monte, a Siena intervengo io. E Tremonti, per favore, stia bonino».
Se questi sono cenni, figuratevi voi quando la dirà tutta. A che si riferisce il viscerale sindaco senese? Ovviamente, al Monte dei Paschi di Siena che, secondo lui, sarebbe in pericolo perché qualcuno, magari non di centrosinistra, magari anche pagando, si permetterebbe anche solo di pensare di scalare la banca di Rocca Salimbeni.
Il ragionamento è chiaro, non fa una piega. La Fiat non c'entra un fico secco perché il problema della Fiat, per il quale il povero Chiamparino se ne occupa, non è quello di essere scalata e di trovare qualcuno, magari, che ci metta anche dei soldi. È che il sindaco di Torino non vorrebbe trovarsi con un bel po' di torinesi a spasso perché la Fiat non funziona.
Il tormento del Cenni è di altro tipo: il Monte è in pericolo e il pericolo è che possa sfuggire di mani al Cenni medesimo e compagni (proprio nel senso dei compagni, non degli amici).
E perché dice così? Vediamo due numeretti: la Unicoop toscana possiede il 2,4% del Monte dei Paschi ma sempre la stessa Unicoop possiede l'1,8% della Holmo che possiede a sua volta il 51% della Finsoe che possiede a sua volta il 52% della Unipol. La Unipol possiede l'1,9% del Monte dei Paschi di Siena il quale possiede, a sua volta, il 25,7% della Finsoe. Come il lettore può agevolmente constatare emerge un pizzico di collateralismo, un nonnulla.
Ora non sappiamo se anche nel caso di Cenni valga quel che è stato detto di Piero Fassino quando ha detto la banca è nostra. Infatti, alcuni hanno spiegato che è un'espressione dialettale che non vorrebbe dire quello che dice. Qui si va nella semiotica. A noi basta rimanere sulla terra ferma e, francamente, ci pare che sia tutto molto, molto, chiaro.
E diciamo qui quello che avremmo voluto dire nel caso delle cooperative. Non ci disturba affatto che una banca rossa partecipi ad una finanziaria rossa che è posseduta da una holding rossa e che possiede delle cooperative rosse che a loro volta posseggono una banca rossa. Se è regolare tutto, per noi è tutto regolare. Quel che ci preoccupa è che nel caso in cui qualcuno voglia legittimamente scalare questa banca rossa il sindaco della città che dà un pezzo di nome alla banca (e che se non ci sbagliamo è anche dipendente della medesima banca) gridi al pericolo non adducendo motivi di tipo economico e finanziario ma sostenendo che siccome è il sindaco della città ad occuparsene debba essere lui.
Secondo noi a Roma, nella direzione dei Ds, c'è qualcuno che quando ha letto queste dichiarazioni è diventato più rosso del solito perché confermano, in modo palese, cosa sia il collateralismo e, soprattutto, quanto ce ne sia.
C'è, in Italia, chi sostiene che dopo la scomparsa di Enrico Cuccia, nulla è come prima.

Mancherebbe quello che nella pallacanestro viene definito il playmaker, quello che fa il gioco. Noi non alziamo, ovviamente, questioni su Cuccia. Diciamo che sarebbe bene che non ci fosse bisogno di playmaker né bianchi, né rossi, né verdi, né celesti, ci piace molto di più la daltonia del mercato.

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