Dentro la sinistra cresce il malumore

Egidio Sterpa

In questi anni, qui e altrove, abbiamo cercato di portare nella polemica politica le idee della ragione. Abbiamo provato ad argomentare secondo logica e correttezza. Non intendiamo rinunciarvi neppure ora che la dialettica, a poco più di due mesi da elezioni decisive, s’è fatta serrata e dura.
Procediamo dunque, per quel che è possibile, kantianamente alla ricerca del vero. È d’obbligo partire da un dato che nell’attuale contingenza non può non considerarsi primario. La sinistra, per la prima volta, ha fatto appello ad una politica della ragionevolezza e della urbanità. Una sorta di miracolo, si direbbe, dovuto, com’è chiaro a tutti, all’improvvisa esplosione del caso Unipol, che ha rivelato l’esistenza nell’Eden dei presunti progressisti di sepolcri imbiancati e armadi con scheletri.
Insomma, s’è visto e constatato che anche in quell’Eden non crescono gigli immacolati. Da qui l’insorgere di seri ostacoli su quella che per il centrosinistra pareva essere la veloce strada verso il potere. Sicché l’auto del Cavaliere, che sembrava in panne, s’è rimessa in corsa.
Siamo all’ultimo round e ovviamente non c’è da sperare che la lotta politica diventi dialogo beneducato. Di spazi per la ragione non ce ne sono più molti a questo punto. Per esempio, perché mai il Cavaliere dovrebbe offrirsi come agnello sacrificale, lui che da più di una decina d’anni viene descritto e indicato come un mostro da infilzare e distruggere? Come negargli il diritto di difendersi attaccando, qualche volta con le stesse argomentazioni degli avversari? Lo fa, riconosciamolo, ricorrendo al più democratico degli strumenti politici: la parola. Qualche volta carica di enfasi la sua recitazione? Ma i suoi antagonisti fanno di peggio: supponenti e presuntuosi, le loro pronunce sono spesso cariche di intimidazioni.
Continuiamo a ragionare. Ma davvero gli italiani possono sperare, in caso di vittoria della sinistra, in una stagione di serenità e delizie? Noi che qui scriviamo non indulgiamo ad esagerazioni: non ci sarà certo il terrore - siamo nell’Italia del 2000, non nella Russia staliniana - ma non ci illudiamo di avere l’eldorado. Ci fosse ancora Orwell potremmo chiedere a lui, che la sinistra la conosceva bene, di darci qualche previsione, magari con nuove versioni de La fattoria degli animali e di 1984.
Per stare a quel che abbiamo sotto gli occhi, diamo uno sguardo al programma di Prodi, quest’omino burroso e permaloso dalle gambe corte forse più di quelle ch’egli attribuisce a Berlusconi. Sono 280 pagine in cui è difficile capirci qualcosa, tanto che lo stesso proponente evita di illustrarle e i suoi soci le trovano inconcludenti. «Non c’è rapporto di fiducia tra il candidato premier e i leader della coalizione», dice il filosofo sindaco di Venezia Cacciari, che una testa pensante ce l’ha. E aggiunge: «Stiamo andando alle elezioni con un corpo rattoppato... Non siamo più in palla».
E del governo in scadenza, quello di Berlusconi, che si può dire? È un fallimento, affermano Rutelli, Fassino, D’Alema, Prodi. Ma no, non è poi vero. Il mio amico Ferruccio De Bortoli, ch’è giornalista bravo e perbene, su Il Sole 24 Ore, il giornale che dirige, esaminando i risultati del «contratto» che il Cavaliere nel 2001 fece con gli italiani dagli spalti di Porta a Porta, riconosce che tutto sommato «i traguardi raggiunti non sono pochi», anche se, aggiunge, «la maggioranza guarderà il bicchiere mezzo pieno e l’opposizione quello mezzo vuoto». Ammettiamo pure che sia così, ma dov’è il fallimento? Come si fa a non considerare il cataclisma che s’è rovesciato sull’Europa e sul mondo dopo l’undici settembre? Cerchiamo di ragionare, invece di fare i catastrofisti.
E ragionando chiediamoci che potrà avvenire dopo le elezioni in caso di vittoria di una coalizione che vede Prodi circondato da Bertinotti, Diliberto, Pecoraro Scanio ed altri estremisti. È una coalizione che contiene culture politiche a dir poco contraddittorie. Neppure il timore che il centrodestra possa tornare a prevalere riesce a frenare elucubrazioni e centrifugazioni. Il sinistrismo insopprimibile di personaggi come Diliberto, per esempio, porta addirittura a chiedere che ci si adoperi ad «impedire la condanna del comunismo in Europa». Persino Cossutta, in questo contesto ideologico, viene considerato degno di epurazione. A paragone la dialettica interna al centrodestra è filosofia, attività spirituale.

Lo riconosce Marc Lazard, osservatore d’Oltralpe, che venerdì scorso su Repubblica dice: ci sono divisioni a destra, ma quelle di sinistra «sono assai più gravi». In conclusione, su quale governance, per dirla all’inglese, si può dunque far conto? Chissà, forse gli elettori hanno cominciato a pensarci.

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