"Papà-peluche, maternage, orfanità educativa. Cosa si nasconde dietro al bullismo"

Il pedagogista Daniele Novara, promotore insieme allo psicoterapeuta Alberto Pellai della petizione per vietare smartphone e social ai ragazzi, spiega al Giornale le conseguenze di una genitorialità che non insegna a litigare

"Papà-peluche, maternage, orfanità educativa. Cosa si nasconde dietro al bullismo"
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«Il bullismo? È solo la conseguenza finale di un processo che parte da lontano, da un’orfanità educativa». Ci va giù pesante il pedagogista Daniele Novara, promotore insieme allo psicoterapeuta Alberto Pellai (e molti altri personaggi tra i quali anche famosi tra cantanti e attori) della recente petizione per vietare lo smartphone sotto i 14 anni e i social sotto i 16, che in neanche un mese dalla pubblicazione ha quasi raccolto 70mila firme e convinto anche il ministro all’Istruzione Valditara. Ma d’altronde l’emergenza che lui vede, è quella che chiama un «baratro educativo». Con due aggravanti. La prima: «L’assoluta mancanza di interesse per l’educazione delle nuove generazioni, «come se gli adulti non avessero in testa che hanno la responsabilità educativa». La seconda: «Genitori troppo soli, senza conoscenze adeguate e più fragili dei loro figli». Lui, che è anche direttore del CPP, il centro il Centro psicopedagogico per la gestione dei conflitti, ha rimesso in moto la Scuola per genitori (prossimo appuntamenti il 19 novembre a Milano al teatro Oscar, gratuito con registrazione). «Andrebbe istituzionalizzata una scuola per mamme e papà, con sportelli pedagogici ai quali potersi rivolgere - dice - Non vengono date loro le giuste informazioni da un punto di vista educativo». Cosa-fare-quando. Un tempo così facile, oggi è diventato un percorso accidentato in un mondo sempre più complesso dove i genitori par si muovano sempre più a tentoni.

Padri-peluche

Per cominciare: «Il padre dov’è?», provoca Novara. «Figura evanescente, al massimo viene reclutato come vice-mamma. Abbiamo una caterva di papà-peluche, compagni di giochi». Invece, ribadisce in mille occasioni il pedagogista, specie durante l’adolescenza la sua presenza è fondamentale. E «non a sostituire gli amici per giocare». Sì ai paletti, che permettono ai ragazzi di avere degli argini, in cui esprimere la propria libertà. «Una generazione che non può contare su adulti educativi, diventa una generazione in balia delle proprie ansie, che si perde di notte sulla playstation, sui videogiochi, sui social. Poi a scuola hanno sonno, non ci sono, persi in un mondo virtuale... E quando poi un compagno ammazza un amico arriva a dire “non so perché l’ho fatto“».

Novara esorta quindi i genitori a dare un’organizzazione chiara alle regole educative, altrimenti «queste generazioni andranno perse, altro che calo demografico». «Un tempo c’era il gioco del “Piccolo Chimico“ - ironizza - oggi il “Piccolo psichiatra“. Sono molto critico con l’idea che bisogna parlare e parlare con i figli. Non c’è bisogno di fare conferenze, ma creare buone abitudini, evitare che si perdano già da piccoli sui videoschermi, fare in modo che l’impegno scolastico non sia accompagnato da mamme ansiose sul WhatsApp scolastico come fosse la piazza del mercato». Ma occorre recuperare «una dimensione di responsabilità» che, attenzione a non fraintedere, non vuol dire tornare al passato.

Mamme alla larga dagli adolescenti

Nel libro di prossima uscita, un capitolo Novara lo ha intitolato «Sto alla larga» è rivolto alle mamme di adolescenti. «È ora di smetterla di gestirli nel maternage, per cui se succede qualcosa poi la colpa è del bullismo. Ma il bullismo è solo l’epifenomeno estremo di una situazione ben più ampia. Non è la causa, ma l’effetto. Prima pensiamo di educarli bene. Ma i genitori sono troppo da soli». Le varie fasi educative, secondo Novara, non sono conosciute e c’è latitanza della società rispetto a questo bisogno di poter disporre delle conoscenze. «A volte sono imbarazzato di fronte alla scarsità di conoscenze da parte di genitori anche culturalmente di un certo livello. E l’intera società ha un atteggiamento menefreghistico. Si dice che è un problema di mamme e papà, che sono più fragili dei figli».

Imparare a litigare

Papà e mamme devono tornare a scuola, quindi. E la scuola «deve assumere la questione dei conflitti come prioritaria». È necessario insegnare come saper stare al mondo quando ci sono delle complicazioni, perché siamo tutti bravi ad andare d’accordo durante l’happy hour. Il problema è stare con gli altri, quando gli altri non ti danno ragione». Invece, «si preferiscono ragazzi isolati chiusi in cameretta, che così non frequentano nessuno e non vedono nessuno. Ma il pericolo “è“ la cameretta. Guai a bloccare il bambino che litiga. Insegnare loro a litigare bene, lo metti in sicurezza per tutta la vita».

Per concludere, quindi «abbiamo bisogno di ritrovare un afflato educativo pedagogico - dice Novara - Non possiamo andare avanti così, alla ricerca di nuove diagnosi, di

nuove malattie, di nuove medicalizzazioni cercando di sbattere tutti i ragazzi che danno fastidio in galera. Quelli in difficoltà sono quelli che hanno più bisogno di imparare a vivere e questa è responsabilità degli adulti».

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